Una regolare attività fisica serve a migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti dal morbo di Parkinson
Sono molte le persone che dopo la diagnosi del morbo di Parkinson lottano per trovare un compromesso tra la malattia e la voglia di continuare il più possibile a vivere secondo le proprie abitudini.
Spesso questa malattia colpisce infatti in una fascia di età compresa tra i 60 e i 65 anni, quando in sostanza si è ancora nel pieno delle proprie attività. Un gruppo di ricercatori dell’università del Michigan ha visto che cosa succede a distanza di anni: chi continua a svolgere le solite attività giornaliere ha una minore compromissione delle funzioni motorie rispetto a chi si lascia andare. “La comunicazione della diagnosi crea un inevitabile momento di sbandamento, soprattutto quando si tratta di persone ancora attive”, ha dichiarato Pietro Cortelli, presidente dell’Accademia Limpe-Dismov, secondo il quale “bisogna quindi sempre tenere presente che nel caso di parkinsoniani under 60-65 la gestione della malattia può essere più difficile, per il paziente e per la famiglia, inevitabilmente coinvolta. L’esperienza ci insegna che l’impatto sulla vita professionale e privata può essere devastante, per questo è importante inserire subito il paziente all’interno di un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale, con un’èquipe multidisciplinare in grado di ritagliare trattamenti su misura, non solo farmaci, ma anche un’attività fisica ad hoc”.
Praticare attività fisica giova quindi alla qualità della vita dei malati: in soggetti parkinsoniani l’esecuzione regolare, anche di semplici esercizi, pare infatti possa portare nel tempo ad acquisire una migliore autonomia e qualità di vita, oltre che ad un’evoluzione più lenta e meno invalidante del decorso della malattia.
Alcune attività sembrano essere più indicate per questa tipologia di pazienti come ad esempio la corsa, il cammino a passo veloce, il tennis e la danza. Fino ad ora l’unico tipo di movimento consigliato ai malati era quello di tipo riabilitativo per combattere l’atrofia dei muscoli. Lo sport ha invece anche un effetto preventivo, come dimostrato dallo studio pubblicato su Brain e condotto in Svezia su 43368 persone, seguite per oltre 12 anni.
A conti fatti, emerge un minore rischio di malattia tra chi pratica costantemente esercizio fisico. Già uno studio condotto alcuni anni fa dagli scienziati dell’Harvard University aveva concluso che praticare regolarmente attività fisica contribuisce a ridurre il rischio d’insorgenza della malattia.
Per prolungare il più lungo possibile i benefici dei farmaci si punta anche molto sull’alimentazione: “Alcuni cibi hanno un’azione neuroprotettiva; la caffeina per esempio, oltre una certa quantità, sembrerebbe difendere il cervello anche in chi ha già i primi segni della malattia. Risultati promettenti ma, da confermare con ulteriori studi” secondo il parere di Alberto Priori, associato di Neurologia all’Università degli Studi di Milano.
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