Come non riandare con la memoria alle epoche innocenti, felici, spensierate della nostra infanzia quando, avvicinandosi il 6 gennaio, parliamo della Befana? Questa vecchietta sdentata, con qualche crine grigio in testa e un cappello bucherellato, con indosso una lunga gonna sgualcita, che cavalca una logora scopa e scende attraverso le cappe dei camini per portare caramelle, dolci, piccoli regali, frutta secca ai bambini buoni e carbone a quelli cattivi. Il mondo fantastico delle fate, delle maghe, delle streghe, dove tempi e luoghi sono indefiniti, oggi, nella società della comunicazione multimediale, della realtà virtuale, è stato sostituito dalle navigazioni in rete, dal Web, dai siti extra geografici. Dopo la seconda guerra mondiale, noi bambini giochevamo, nelle strade, nei cortili, nei campi ingialliti, con le bambole di stoffa, le rivoltelle di latta e i trenini elettrici. I ragazzi del ventunesimo secolo si baloccono con i telefonini, gli smartphone, i tablet, i collegamenti con la WhatApp, i colloqui via Blogg, twitter, la posta elettronica. I rapporti umani che si snodavano tra bande di monelli che simulavano guerre tra cacciatori di bufali e indiani, tra sceriffi e banditi, duelli a Mezzogiorno di fuoco, ricercatori di pepite d’oro e lunghe caravane dirette alla conquista di territori vergini, ai giorni d’oggi sono soppiantati dall’esercizio individuale, appartato, solipsistico con i Samsung Galaxy S7/S7 Edge, gli Android, le diavolerie delle invenzioni eletttroniche. Alle uscite delle scuole, dei centri commerciali, dei cinema, dei ristoranti, delle discoteche li vedete questi adolelescenti e giovani del terzo millennio pulsare instancabilmente sui tasti dei cellulari dell’ultima generazione.
La befana, figura folcloristica legata alle festività natalizie, tipica di alcune regioni italiane e diffusasi poi in tutta la nostra penisola è meno conosciuta nel resto del mondo. L’origine fu probabilmente collegata ad un insieme di riti propiziatori pagani, risalenti al X – Vi secolo a.C.,
riguardanti i cicli stagionali legati all’agricoltura, al raccolto dell’anno trascorso, ormai pronto per rinascere, diffusi in italia attraverso antichi culti dell’inverno boreale affini a quello celtico. Cerimonie che furono condannate, già a partire del IV secolo a.C, dalla Chiesa di Roma definendole frutto di influenze sataniche. Gli antichi Romani fecero proprie quelle celebrazioni, associandole al calendario romano. La dodicesima notte dopo il soltizio invernale si solennizzava la morte e la rinascita della natura attraverso la Grande Madre. I Romani credevano che in queste dodici notti delle figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, da cui il mito della figura ”volante”. A partire dal Basso Medioevo emerse l’attuale figura della Befana ma questa antica immagine pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come una sorta di dualismo tra il bene eil male.
Secondo una leggenda cristianizzata del XII secolo, i Re maggi, diretti a Betlemme, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una signora anziana. Malgrado le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita a Gesù Bambino, la vecchia non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, si mise a cercarli, senza riuscirci. Così si fermò ad ogni abitazione che trovava lungo il cammino, donando regali ai bambini che incontrava.
Ho un bellissimo nipotino di circa due anni e mi chiedo: gli potrò parlare della befana, questa vecchietta tanto brutta quanto buona, amica dei bambini, passeggiatrice alata del 6 gennaio, o mi devo considerare un nonno superato, incartapecorito, da museo archeologico?
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