Pietro Nenni, lo storico leader del PSI, riuscì ad abolire, quando era responsabile alla Farnesina, alla fine degli anni sessanta, il termine “Eccellenza” con cui cittadini servili si rivolgevano ai funzionari governativi perpetrando un retaggio di cortigianeria e untuosità.
La parola “dottore”, invece, che veniva impunemente adoperata nei riguardi di chi, semplici impiegati, contabili, operatori ecologici ( netturbini) o commercianti che di quel titolo non erano titolari e che magari avevano appena conseguito la scuola dell’obbligo, è un vecchio retaggio duro a morire anche nell’era della multimedialità e della posta elettronica. Secondo il dizionario Devoto-Oli, il termine in questione designa”il grado accademico spettante a chi ha compiuti gli studi universitari e discussa una tesi superando l’esame di laurea”.
Quando, come dirigente dell’associazionismo italiano in Svizzera, dovevo telefonare al Ministero degli affari Esteri, chi mi rispondeva, senza sapere minimamente chi fossi, mi chiamava con deferenza “dottore”. Questo titolo, in realtà, lo si può assegnare soltanto ai medici o a coloro che sono usciti laureati da un ateneo. Lo spirito di adulazione, di piaggeria, ereditato dai tempi dell’Italia divisa in principati e signorie, lo ha invece trasformato in una impropria qualifica che persone in cerca di appoggi e favori attribuiscono a interlocutori detentori di un ufficio o di un incarico pubblico. Così semplici usceri, segretari comunali o valletti e portaborse acquisiscono impunemente uno stato sociale superiore che non è loro. Il nostro Paese è il terreno fertile in cui non albergano spesso il merito, la professionalità, il valore, ma l’adulazione, l’incensamento, l’iperbole, l’esagerazione. Già nelle scuole medie l’insegnante è professore. In Svizzera, lo si può designare tale soltanto chi ricopre una cattedra universitaria. Sino al Gymansium, i docenti sono “Lehrer”, maestri. Anche nella vita pubblica nel nostro Belpaese si esagera in eccessi, amplificazioni: i deputati, i ministri godono di privilegi e benefici, viaggiano in lussuose automobili, dispongono di segretari servizievoli. Nella Confederazione Elvetica vige la semplicità, l’austerità. Conosco un ex ministro della Giustizia del Cantone di Zurigo che si recava al lavoro prendendo il bus. La preparazione, la competenza, la perseveranza premiano la carriera lavorativa di un cittadino. A Roma e altrove, invece, si va avanti volentieri con la spintarella, la raccomandazione. Naturalmente non mancano l’onestà, la solerzia, l’alacrità. Ma l’uso del nepotismo, del favoreggiamento è una pratica largamente utilizzata. Il baciamano non è soltanto un atto di devozione vescovile o mafiosa, è l’inchino deferente del debole ai potenti.
Scrivevo su “Agorà” nel lontano 2003: “E’ legittima l’aspirazione degli individui a raggiungere una soddisfacente posizione nella vita. Ma il raggiungimento di una siffatta condizione da parte di parenti, colleghi, amici o avversari, per non essere interessato se non addirittura pusillanime, deve riferirsi a studi, pregi, abilità reali”.
Una società sana alimenta lo sviluppo di processi di democrazia, di pari opportunità, di uguaglianza. Nessuna persona può partire da condizioni di vantaggio, di agevolazione per raggiungere l’obiettivo della sua vita. La competizione, le singole abilità possono entrare in campo solo su un piano di parità, senza trabocchetti, inganni. Il confronto deve avvenire con le stesse armi, con analoghi strumenti di intelligenza e di esperienza.
Da bambino, insieme ad amici e amichette, spinto da stimoli erotici preadolescenziali, giocavo al dottore. Un personaggio che temevamo quando stavamo per ammalarci e che circondavamo di un’aureola di capacità, di bravura e sapienza superiore. Mai avremmo immaginato che “dottore” poteva esserlo anche lo spazzino, il fruttivendolo o il bidello scolastico.
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