Il Giuramento di Ippocrate ha un po’ perso di significato da diversi anni. Forse dovrebbe addirittura essere abolito visto che in gran parte viene letteralmente demolito da alcuni comportamenti deontologicamente devastanti di certi medici. Tra le notizie di malasanità che lasciano l’amaro in bocca c’è quella che è circolata negli ultimi giorni riguardante la morte di una neonata a causa di un ritardo del parto cesareo. Secondo quanto si apprende dalla ricostruzione degli inquirenti, esattamente un anno fa una donna 37enne si era recata all’ospedale Di Venere di Bari. La futura mamma era alla 41a settimana e si accingeva a far nascere la sua bimba con un parto naturale. La mattina dopo, notata dal tracciato una lieve sofferenza fetale, si decideva, come si fa spesso in questi casi, di procedere con un parto cesareo d’urgenza. Da questo momento in poi iniziava l’incubo per la donna. Le due sale operatorie utilizzate per i cesarei erano occupate e si decideva di utilizzare la sala operatoria di chirurgia generale, destinata però a un intervento di appendicite. A questo punto scoppiava una lite tra i medici per decidere chi poteva utilizzare la sala. Durante la lite si perdeva di vista ciò che era più importante: il paziente, anzi i pazienti, mamma e nascituro che rimanevano senza controllo, non venivano infatti eseguiti più tracciati sulla donna per monitorare la situazione. Nessuno si preoccupava più di sapere se la partoriente stava bene e se la sofferenza fetale lieve che era stata riscontrata fosse peggiorata. Trascorsa più di un’ora in questo modo, finalmente si decideva di operare la donna ma la piccola nasceva senza vita, strozzata dal cordone ombelicale. Per una lite. Senza quell’inutile lite tra operatori sanitari, la piccola si sarebbe salvata perché, a quanto emerge dalle indagini, la tempistica sarebbe stata determinante. I due litiganti si sono difesi sostenendo che nessuno aveva detto loro che il caso della donna incinta era piuttosto urgente. I medici, insieme ad altre otto persone tra infermieri e anestesisti, restano al momento indagati. Quando questi medici fanno il tradizionale ‘Giuramento di Ippocrate’, quella summa di pratiche, principi e norme etiche della professione medica, pensano davvero a ciò che dicono? Giurano di non compiere mai ‘atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona’ ma al Di Venere di Bari non è successo così, e giurano anche di ‘rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni’… ma i due chirurghi ora indagati avranno saltato questo punto. Prima di qualsiasi giuramento è bene che chi fa una professione così importante e delicata come quella del medico, avendo a che fare con la vita e con la morte degli altri, sappia quando è giusto far valere le proprie ragioni e quando farsi da parte.
Nel caso di Bari, sarebbe bastato mettere da parte il torto e la ragione e pensare a chi in quel momento aveva il reale diritto o meno di usare quella sala operatoria. Pensare al paziente e non alla ragione. Pensare alla vita e non ai torti. Pensare. Se non avessero litigato tra loro, facendo a pezzetti il caro Giuramento di Ippocrate, tra qualche giorno una bambina avrebbe spento la sua prima candelina.