Sul caso Eluana – con il decreto del governo che voleva bloccare la sospensione dell’acqua e del cibo messa in atto dai medici di Udine per far morire la ragazza e con il rifiuto da parte di Giorgio Napolitano di firmare il decreto – c’è stato uno scontro istituzionale senza precedenti tra il Capo dello Stato e il governo. Il contrasto tra i poteri delloStato è stato dagli uni presoa pretesto per accusare il governoe il premier di aver volutosfidare il Presidente dellaRepubblica e di aver creato un “vulnus” costituzionale, e daglialtri esaltato come atto dicoraggio. Questo secondo giudizioè stato espresso non soloda una frangia dell’opposizione (l’Udc, parte dell’Idv e dellostesso Pd) ma anche dai verticidel Vaticano. In realtà, mai come in questaoccasione il contrasto istituzionale ha mostrato che la politica non è solo lotta e interessi, ma è anche assunzione di responsabilità, dove ciascun soggetto istituzionale ha la sua parte di merito e anche di torto. Innanzitutto la Corte di Cassazione, che ha dato il via libera alla Corte d’Appello di Milano di emettere un decreto a favore dell’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione. In presenza di un vuoto legislativo i giudici, di fronte all’asserita, presunta volontà della ragazza – manifestata per interposta persona, il padre – di voler mettere fine all’eventuale condizione di “stato vegetativo” in cui si sarebbe in futuro potuta trovare – ha dato il consenso al genitore per poter percorrere quella strada. La magistratura, tuttavia, non ha formulato nessuna sentenza, ha solo emesso un decreto di autorizzazione. In secondo luogo il governo, che con il decreto ha inteso riaffermare il principio secondo cui ospedali, medici e infermieri devono operare per la salute, non per la morte dei cittadini, tanto più che altri casi si sono risolti con il ritorno allo stato di coscienza attiva. L’atto del governo, comunque, al di là dei risultati del caso Eluana, è stato un messaggio positivo e doveroso rivolto ai cittadini di uno Stato. Infine, il Presidente della Repubblica, che con il rifiuto di firmare il decreto ha inteso evitare che un atto politico (il decreto del governo) di un potere dello Stato potesse annullare un atto della magistratura (altro potere dello Stato). Anche se l’incostituzionalità del decreto è stata messa in dubbio da autorevoli costituzionalisti perché la magistratura non ha emesso una sentenza, inappellabile, ma un decreto di autorizzazione, appellabile. Come si vede, ognuno di questi tre poteri ha meriti e torti (che in questa sede non c’interessa mettere in evidenza) ed ha svolto con coraggio e con fermezza il suo compito specifico. Le polemiche inutili e strumentali servono solo a immiserire la politica. Il risultato di questo scontro, infatti, con la trasformazione del decreto non firmato in disegno di legge discusso in un Parlamento convocato “ad horas”, potrebbe essere, al di là del caso singolo di Eluana, che su una materia tanto delicata il vuoto legislativo sia colmato a partire, come ha suggerito Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera, dal divieto di accanimento terapeutico, espresso dal paziente consapevolmente o con un atto firmato.
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