Bocciata anche la riforma di Alain Berset. Trionfo per il decreto che garantisce la sicurezza alimentare alle future generazioni della Svizzera. È stata del 47% la partecipazione al voto
L’ultima revisione del sistema previdenziale svizzero risale al lontano 1997. Da allora solo bocciature alle riforme, alle quali si è aggiunta quella proposta da Alain Berset, “Previdenza per la vecchiaia 2020”, elaborata con il Parlamento e che voleva garantire l’equilibrio finanziario dell’AVS fino alla fine del prossimo decennio. Gli svizzeri hanno bocciato l’ennesimo tentativo di riformare il sistema previdenziale respingendo alle urne entrambi gli oggetti in votazione: la riforma e la proposta di aumentare l’Imposta sul valore aggiunto (IVA) per garantire un ulteriore finanziamento dell’AVS. La riforma è stata bocciata dal 52.7% dei votanti e l’aumento dell’IVA è stato respinto dalla maggioranza dei cantoni (13.5), raccogliendo però una preferenza dei votanti del 49.96%, una differenza di 2.357 voti. Sono state decisive le regioni rurali a bocciare la riforma.
Per Berset, poco abituato alle sconfitte come ministro, si tratta di una sconfitta cocente su un tema complicatissimo e non è riuscito a presentare una riforma che avrebbe convinto il popolo. Il ministro dell’interno ha preso atto della sconfitta con pacatezza e nella conferenza stampa a Berna dopo l’esito delle votazioni ha detto che “le discussioni proseguiranno su nuove basi, dopo avere preso in esame le conseguenze del “no” alla Previdenza 2020”. Il finanziamento dell’AVS è irrisolto e Berset ha invitato a riunirsi “rapidamente” tutti gli attori interessati per fare il punto, analizzare l’esito del voto e trovare una strada per stabilizzare il primo e il secondo pilastro. Ora si attendono nuovi tentativi, ma non si vedono piani alternativi che metterebbero d’accordo i due fronti. Berset stesso aveva venduto la riforma come una proposta senza alternative, un compromesso portante, unica soluzione per ottenere una maggioranza popolare. Ma così non è stato. Berset avrà serie difficoltà a costruire una nuova riforma che sia convincente e non più un compromesso o un oggetto con troppi punti incomprensivi. La votazione del 24 settembre ha detto che il popolo svizzero non vuole un aumento delle pensioni, i 70 franchi alle nuove rendite dell’AVS sono stati il punto cardine della riforma e quello che ha fatto vincere il “no”, bensì auspica la sicurezza finanziaria delle pensioni. Alain Berset ha puntato tutto il suo peso politico nella campagna di voto e ha perso. È dunque incerto se sarà lui a rimettere mano a una nuova riforma. “Un altro tentativo di riforma costa tempo” e Berset non ha indicato alcun piano, ma ha espresso i suoi timori che “se non si farà presto una riforma previdenziale, il deficit aumenterà fino al 2030 e allora potranno sorgere difficoltà per pagare le pensioni”. Sulla domanda se sia ancora lui la persona giusta per continuare il lavoro, Berset si dice “molto motivato” di preparare i prossimi passi e di affrontare i problemi della previdenza vecchiaia, oggi rimasti irrisolti. La responsabilità maggiore di questa riforma cade sul Consiglio federale, che deve fare i primi passi, ma la sconfitta pesa sulla fiducia nel Governo intero e Berset non ha più la stessa capacità di agire da ministro della sanità. Su tre misure del primo pilastro AVS la nuova riforma non dovrà demordere: l’adeguamento dell’età di pensionamento delle donne da 64 a 65 anni e la flessibilità del pensionamento tra i 62 e i 70 per contrastare l’invecchiamento della popolazione, sempre più longeva, che porta a squilibri del sistema pensionistico, insieme al finanziamento supplementare dell’AVS mediante l’aumento dell’Imposta sul valore aggiunto (IVA). Il piano B prevede di separare i due pilastri e di concentrarsi sull’AVS, che richiede un risanamento più rapido nei confronti del secondo pilastro.
Confermata dai votanti la scontata approvazione del decreto federale, il controprogetto all’iniziativa “Per la sicurezza alimentare” che chiedeva alla Confederazione di aumentare il sostegno “alle derrate alimentari di produzione indigena variata e sostenibile” per l’approvvigionamento della popolazione. Con il 79% di sì sono stati perfino superati decisamente i pronostici della vigilia. Lo schiacciante verdetto popolare è la logica conseguenza del sostegno quasi unanime all’articolo costituzionale 104 dai partiti e dalle organizzazioni economiche e professionali. Il nuovo articolo costituzionale pone le basi costituzionali per un’agricoltura sostenibile, ecologica e compatibile con il commercio mondiale volte a garantire le condizioni per la sicurezza alimentare del Paese. La nuova disposizione prevede che le superfici e i terreni agricoli devono essere protetti e conservati, impone la produzione dei generi alimentari, limitando l’impatto sulla natura, chiede che la filiera agroalimentare deve potersi posizionare meglio sul mercato e il settore agricolo non dovrà più puntare su una politica si sovvenzionamenti statali, incentra le relazioni commerciali con l’estero e precisa il ruolo complementare delle importazioni di generi alimentari e mezzi di produzione e vuole dare responsabilità ai consumatori nell’impiego di derrate alimentari, sprecando meno cibo. Il ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann ha precisato che il “sì” all’articolo “non deve essere inteso come un voto in favore del protezionismo”. L’articolo non avrà modifiche legislative e sarà una guida per la futura politica agricola. L’invito di Schneider-Ammann ai contadini svizzeri è di “orientarsi alle esigenze del mercato senza avere paura del libero scambio”. Le opportunità che esso offre al mercato svizzero sono positive e “bisogna approfittarne”.
Gaetano Scopelliti