La figlia maggiore: “un lavoratore ingiustamente accusato”. Colonnello De Caprio: “la morte di Riina per noi carabinieri è una questione che riguarda solo lui, la sua famiglia e Dio”
Si è spento alle 3.37 nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma il boss Totò Riina. La notizia è rimbalzata su tutti i siti internet, la stampa si è scatenata e tutti hanno parlato della morte del boss siciliano che fece guerra allo stato italiano, il boss mafioso autore delle stragi di Falcone e Borsellino, che ha fatto sciogliere nell’acido un bambino di 13 anni, Giuseppe di Matteo, che ha ucciso più di duecento persone, quelle certe, e per i quali delitti è stato condannato a 26 ergastoli.
Il capo dei capi, detto anche ‘u curtu per la statura bassa, è morto il giorno dopo aver compiuto 87 anni, il 17 novembre, mentre si trovava al reparto detenuti dell’ospedale Maggiore in terapia intensiva-rianimazione, dove i figli non sono riusciti ad incontrarlo prima che morisse nonostante il permesso straordinario ricevuto dal ministro della Giustizia che aveva autorizzato la visita. Da allora l’opinione pubblica si è scatenata in commenti di gioia per la notizia, molti si sono esaltati, altri non hanno dimostrato pietà alcuna per quella “belva”, altro soprannome del boss, che non sapeva neanche cosa volesse dire la parola pietà.
Il web, ancora una volta, si è rivelato come lo spazio più idoneo ad accogliere l’odio e il rancore che senza alcuna remore hanno dimostrato gli utenti. “Morto Riina: mi auguro abbia anche sofferto”; “doveva essere ammazzato prima”; “marcisci presto”; “oggi bisogna solo festeggiare”. E su Facebook e Twetter si leggono frasi esplicite come: “Ci ha messo pure tanto, alla fine era ora che smettesse di rubare ossigeno a chi se lo merita davvero”; “Così dovrebbero morire i mafiosi: anni in un buco a morire tra atroci sofferenze, soli e disprezzati, senza alcun briciolo di potere. Che la terra non ti sia lieve”; “Finalmente Riina è morto. Marcisci presto”, “Dovevi crepare prima pezzo di merda”.
La figlia maggiore di Riina, Maria Concetta, sentendosi oltraggiata nel proprio dolore ha esposto su Facebook una rosa nera come foto del profilo, sovrastata dall’indice di una ragazza che indica il silenzio come copertina e che ha tatuato anche la parola ‘shhh…’ in bella evidenza, sul dorso del dito. La donna, 42 anni, ha sempre descritto il padre come “un lavoratore ingiustamente accusato”, contro il quale parlano solo “calunniatori malvagi e senza scrupoli”. “Non posso parlare, ho dei figli minori, tre bambini piccoli che vedono la foto della madre sui giornali. Forse voi non avete capito. Ho dei figli da tutelare, per cortesia smettetela” ha ripetuto, accerchiata da fotografi e cameramen, chiedendo “rispetto per il dolore di una famiglia” e non rispondendo alla richiesta di spiegare il messaggio postato su Facebook, dove invitava al silenzio.
Il silenzio tanto richiesto arriva proprio dall’uomo che arrestò Totò Riina, il Capitano Ultimo, anche se “ancora una volta organi di disinformazione ci costringono a chiarire ciò che è chiaro e che non deve essere manipolato”.
“Non abbiamo esploso colpi in aria, non abbiamo fatto caroselli quando lo abbiamo catturato nel nome del popolo, e allo stesso modo non abbiamo niente da dire oggi nel tempo della morte” spiega meglio il colonnello Sergio De Caprio. “Ci vogliono portare nel circo, nella farsa, nella celebrazione del potere”, scrive De Caprio sul blog capitanoultimo.blog. “Come abbiamo dichiarato all’Ansa, la morte di Riina per noi carabinieri straccioni è una questione che riguarda solo lui, la sua famiglia e Dio. Non vogliamo dire niente oltre queste parole. Non abbiamo detto niente oltre queste parole. Il nostro popolo non ha bisogno del Colosseo e dei gladiatori per distrarsi dalla fame, dalla disoccupazione, dalla disuguaglianza e dal sopruso. Onore a tutti i carabinieri caduti contro la mafia”.
Riina è morto senza mai aver dimostrato un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell’omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati, mentre ancora a febbraio scorso, parlando con la moglie in carcere affermava fiero: “sono sempre Totò Riina, farei anche 3.000 anni di carcere”.
foto: Ansa