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22 November 2024
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STORIE di Gianni Farina

Una commovente serata nel ricordo di Aldo Moro

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L’uomo che tentò di cambiare, innovando, il corso della storia italiana

La Zurigo italiana che non ha perso la fiducia.

Partecipa. Si commuove. Interroga. Si appassiona alle immagini che scorrono, raccontando una drammatica vicenda della storia repubblicana: il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta.

Osservo i loro sguardi: l’anziano operaio della Brown Boveri, il volto impietrito, la lacrima che si arresta alla stanghetta degli occhiali per non mostrare la tristezza di un mesto ricordo cicatrizzato nell’angolo più intimo del suo cuore. Una mamma con il suo pargolo, forse con il volto della madre di quel carabiniere che scelse la benemerita per seguire le orme del padre. I giovani della scuola italiana accorsi – chissà?- per ascoltare una storia già raccontata dai nonni nel tempo della loro spensierata gioventù. Una folla italiana, a cui, i dirigenti della federazione campana, che ringrazio di cuore per la collaborazione intelligente e appassionata in tante manifestazioni del mondo associativo italiano in Svizzera, hanno inteso regalare la serata che fa epoca e testimonianza di un senso comune che affratella i protagonisti della nostra comunità nazionale.

Io vorrei leggerli quei nomi, semplicemente e senza titoli, perché in essi vi era un cuore che batte, una passione, una speranza, una fratellanza, un senso di servizio e del dovere verso la nostra patria.

Oreste Leonardi. Domenico Ricci. Raffaele Jezzino. Giulio Rivera. Francesco Zizzi. Dopo 55 giorni di atroce prigionia: Aldo Moro. 6 marzo del ’78. Al volante della nuova 131 della Fiat percorro l’autostrada a velocità folle verso verso Ginevra. Sono in ritardo. Ascolto musica tra il gracchiare altalenante della radio di bordo.

Altri tempi. Oggi, diremmo, del tempo remoto che fu.

Cerco di captare l’onda media per il notiziario italiano. Uno sguardo alla corsia, la mano a ruotare la manopola.

Sono le nove, perdio! Mi distraggo un po’, riflettendo su ciò che mi attende. Tra l’onda che viene e va, odo un nome, Aldo Moro, via Fani e nulla di più.

Non passò troppo tempo. E ognuno di noi comprese il disegno perverso di chi volle imporre il buio della notte sul virtuoso cammino della repubblica.

Chi scrive, era, allora, un giovane dirigente del PCI, innamorato, come tanti, di Enrico Berlinguer, quel Sardo dalla parlata un po’ così, che, per farsi capire, raddoppiava le consonanti come sempre si usò dalla notte dei tempi nell’isola ove nacque nel lontano 1922.  Un giorno si incontrarono e si strinsero la mano. Lui, con quella faccia da pastore sardo e i folti capelli alla Antonio Gramsci, e Aldo Moro, la figura, allo stesso tempo dolce e altera, con quel ciuffo bianco dalle sembianze di una spensierata  farfalla  posatasi così per caso sui folti capelli  o per essere protetta.

Si strinsero la mano. A tutti apparve chiaro che la storia d’Italia sarebbe cambiata. Mi impegnai tante volte a spiegare il senso autentico delle convergenze parallele e del compromesso storico.

Ed ai più recalcitranti all’idea risposi che anche i binari della ferrovia amica non si incontrano mai, ma permettono all’intercity  express di raggiungere ogni volta il villaggio natio.

16 marzo, 9 maggio: i cinquantacinque giorni che hanno cambiato la storia della repubblica.

Nulla fu più come prima.

La belva brigatista rossa (e la mafia con loro)  ordiva il quinquennio dell’orda:

1978: Aldo Moro; 1979: Guido Rossa; 1980: Pier Santi Mattarella; 1982: Pio La Torre; 1983: Rocco Chinnici.

Enrico morirà pochi anni dopo, nel 1984.

Ma è come se ne fosse andato con Aldo, quel 9 maggio del ’78. Due uomini, due visioni, due culture spesso lontane.

Si incontrarono. Li divise il fato e la bestialità del male.

Ci sarebbe tanto bisogno di loro. Delle loro idee. Del loro coraggio. Tanto necessario alle persone che lottano per il bene della nostra Italia.

Oggi, siamo qua a onorarti, Aldo Moro, pensando al tuo spirito creativo che vaga nell’universo dei giusti.

Se ci stai ascoltando, vorremmo ringraziarti per quanto ci hai dato e chiederti di salutare Enrico, se, per caso, lo incroci nell’immensità dell’azzurro. Mi raccomando, non siate troppo complicati, nel dire e nel fare. Già feci molta fatica a spiegare il vostro sapiente pensiero.

Con te, con lui, l’Italia sarebbe, oggi, più solidale, più unita, più giusta, migliore.

Ciao Aldo Moro. Nel tuo ricordo, abbruniamo le nostre bandiere.

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