Ci sono certezze e un’incognita nel disastro ecologico che è stato provocato martedì 23 febbraio, quando tremila tonnellate di oli combustibili sono fuoriusciti dall’ex raffineria di Villasanta – appartenente alla Lombarda Petroli e in progressiva dismissione di proprietà della famiglia Tagliabue – e si sono riversati nel fiume Lambro.
Tra le certezze va annoverato il disastro ecologico ed economico che avrà conseguenze drammatiche nel futuro più o meno prossimo. Le acque del fiume, subito impregnate di strisce nere e melmose, per quanto queste siano state in gran parte recuperate, avranno comunque già inquinato le acque del Lambro e del Po, con quali conseguenze per la fauna fluviale e marina è facile immaginare.
Ma le certezze non finiscono qui, perché le acque bagnate di oli combustibili comportano l’inquinamento dei campi irrigati e, di conseguenza, prodotti che fanno male, sia agli animali che agli uomini. Insomma, dal disastro ambientale a quello economico, perché lungo il Po si vive e si sviluppa un’area agricola e industriale tra le più importanti d’Europa. Il disastro visibile potrà anche essere stato arginato, ma per quello nascosto passerà del tempo prima che possa venire depurato.
Tuttavia, un’altra certezza è che i danni ambientali, per quanto ingenti, sono stati ridotti al minimo. Il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ha detto che in Adriatico l’onda nera non sarebbe arrivata, se non in misura ridotta. Già alla prima constatazione del disastro i tecnici e le autorità competenti degli enti locali si erano dati da fare per arginare i danni, ponendo delle barriere a Fellonica, a Garda Veneta e a Serravalle. Non tutto ha funzionato bene, ma evidentemente l’onda nera non era facile da fermare, anche perché non sempre le barriere si sono rivelate stabili. Bisogna aggiungere che prima della constatazione dei danni è passato del tempo, ma in questi casi non è facile reagire prontamente, anche perché l’area è vasta e richiede un forte coordinamento di uomini e mezzi e il superamento non facile di tante difficoltà. Una volta che ad ogni barriera si è raccolta la massa densa e nera, la si è pompata nelle auto cisterne. È ancora presto per inventariare e quantificare i danni, per ora si sa che all’Adriatico le acque del Po sono giunte domenica senza più le masse melmose. L’unica cosa visibile era una pellicola di olio: certamente dannosa ma, ripetiamo, il disastro è stato ridimensionato dall’efficacia del lavoro dell’uomo. Lunedì il Consiglio dei ministri ha decretato lo stato di emergenza. Roberto Formigoni ha dichiarato che “il Lambro tornerà balneabile e trasparente come ai tempi dei nostri avi entro il 2015, l’anno dell’Expo”. Le istiutuzioni – è questa un’altra certezza – hanno risposto bene: dalla Protezione Civile nazionale a quelle locali della Lombardia, dell’Emilia Romagna e del Veneto, dal ministro dell’Ambiente ai sindaci e ai rappresentanti degli enti locali di tutta l’area. Certo, tutti i soggetti economici che vivono grazie al Po e all’economia padana non hanno lesinato critiche all’indirizzo di Milano, ma questo è un altro capitolo.
Chi è stato? Perché lo ha fatto? La risposta alla seconda domanda è anch’essa una certezza. Gli inquirenti hanno raggiunto la conclusione che si sia trattato di un atto doloso. L’ex raffineria era in dismissione da tempo, potrebbe essersi trattato di operai messi in mobilitazione o licenziati: quantomeno è questa una delle piste che stanno seguendo gl’inquirenti. C’è chi ha parlato di “ecoterrorismo”, ma se la pista della vendetta sembra essere quella giusta, è possibile anche che si sia trattato di un atto di sabotaggio sfuggito al controllo degli stessi sabotatori che non volevano creare un simile disastro. Forse pensavano che l’indomani le cisterne sarebbero state chiuse senza grossi danni. Invece, così non è stato perché gli oli combustibili sono entrati nei canali di scolo e da lì sono finiti nel Lambro. Dunque, ancora buio sugli autori del disastro.
Il presidente della regione Lombardia ha dichiarato che avrebbe denunciato i proprietari della Lombarda Petroli non perché sospettati di qualcosa, ma solo perché avrebbero dichiarato una quantità inferiore di oli combustibili (olio e gasolio) nell’ex azienda petrolifera ora semplice deposito. Per il resto, la famiglia Ligabue si sente vittima di un “attentato” e colpita “da qualcuno che ci vuole male”.