L’Unione sindacale svizzera (USS) non vuole trattare sulle misure di accompagnamento. La tutela salariale non si tocca. I negoziati sull’accordo istituzionale sono di nuovo bloccati
Lo scorso 8 agosto l’USS e Travail.Suisse hanno declinato l’invito del ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann per discutere l’adeguamento delle misure di protezione dei lavoratori onde facilitare la conclusione di un accordo istituzionale tra la Svizzera e l’UE. Il presidente dell’USS, Paul Rechsteiner, ha parlato di “tradimento nei confronti dei lavoratori”. A Schneider-Ammann e al ministro degli esteri Ignazio Cassis rimprovera di “volere mettere a disposizione la protezione dei salari in Svizzera” nelle trattative sull’accordo istituzionale con l’UE. Secondo i sindacati, Bruxelles esigerebbe un allentamento delle misure collaterali, specie della regola degli otto giorni per i lavoratori distaccati. Essa prevede l’annuncio di manodopera estera otto giorni prima l’invio con relativo versamento di una cauzione. Tempo che permette alle autorità il controllo dei salari e delle condizioni di lavoro per evitare casi di dumping. I negoziati in questa direzione porterebbero a un indebolimento delle misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone (le “linee rosse”). Prima della pausa estiva, il Consiglio federale aveva confermato le “linee rosse” nelle trattative con l’UE, e aveva invitato a una consultazione i partner sociali per discutere “sull’interpretazione delle ‘linee rosse’” e su possibili altri strumenti per raggiungere l’obiettivo comune: la protezione dei salari.
Dopo l’USS è scesa in campo anche Travail.Suisse che lascia le discussioni su un allentamento delle misure a tutela dei lavoratori svizzeri. In una nota il sindacato di ispirazione cristiana ha spiegato i motivi della rinuncia: “Quanto proposto da Schneider-Ammann peggiora drasticamente la situazione dei lavoratori in Svizzera” e ha invitato il governo a “fornire proposte migliori e rinunciare a qualsiasi opera di smantellamento”. Secondo i sindacati un accordo istituzionale negoziato a scapito dei lavoratori non avrebbe nessuna possibilità alle urne e l’USS è disposta a considerare tutti i mezzi possibili, anche il referendum, per evitare lo smantellamento. Ai colloqui hanno partecipato solamente i datori di lavoro che si dichiarano delusi “dal rapporto turbato tra sindacati e governo”. I colloqui devono proseguire per ottenere risultati. I sindacati non devono dettare le condizioni perché “non è automatico che la protezione dei lavoratori venga smantellata in queste discussioni” ha detto Hans-Ulrich Bigler, direttore di Unione arti e mestieri, USAM, “la garanzia della protezione dei salari è anche nei nostri interessi”.
La Commissione europea non ha commentato il boicotto dei sindacati, “si tratta di un processo interno alla Svizzera, ma che certamente non faciliterà i negoziati”. Tramite la portavoce Mina Andreeva ha ribadito le sue condizioni: “Chi vuole fare affari nel mercato unico deve attenersi alle regole”. Parole che riportano allo stallo i negoziati e l’obiettivo di un accordo istituzionale tra la Svizzera e l’UE, importante per gli accordi bilaterali futuri, si allontana. Un dietrofront dei sindacati sembrerebbe a questo punto escluso. Dopo le forti prese di posizione, un ritorno al tavolo comporterebbe una perdita d’immagine e senza il sostegno dei sindacati è praticamente impossibile fare passare nella politica interna un accordo istituzionale. Il Consiglio federale è nel dilemma: trovare una soluzione per avvicinare i sindacati o fermare tutto e comunicare a Bruxelles che non ci sarà nessun accordo istituzionale. Se Berna lascerà il tavolo con l’UE è prematuro a dirsi, ma la Commissione per la politica estera del Consiglio degli stati apre uno spiraglio: all’unanimità ha appoggiato il proseguimento delle trattative. I tempi per accordarsi sull’accordo istituzionale restano invariati fino alla fine del 2018.
Gaetano Scopelliti