Ben trovati lettori! È stata davvero un’ardua scelta individuare il primo argomento da trattare in quanto, come piace dire a me, il fattore P è un po’ come il prezzemolo, c’è dappertutto, e fare una selezione non è facile e invito anche Voi, se volete, a direzionare i temi da trattare in base ai vostri interessi e curiosità.
Ho deciso di iniziare con la genitorialità, approfondendo un aspetto spinoso quale il dare delle regole. Il compito educativo è davvero complesso, Freud stesso diceva che il genitore, l’insegnante e lo psicologo sono i mestieri più difficili al mondo! Sottolineo prima di tutto che il termine educazione, di origini latine, significa “tirare fuori” (da ex-ducere): a differenza dell’istruire quindi, dove l’idea sottesa è che la mente del bambino sia una tabula rasa che non aspetta altro che essere riempita, l’educazione rimanda ad un saper far emergere il potenziale del bambino.
Ecco dunque che quando ci si imbatte nel dare le regole dobbiamo tener conto della natura del bambino e quindi anche del fatto che egli sia inizialmente senza confini e limiti. Nel suo rapporto originario di fusione con la madre, il mondo di cui fa esperienza corrisponde ai suoi desideri ma ben presto dovrà traslocare nel mondo reale dove c’è invece frustrazione e dunque ostacoli tra lui e i suoi obiettivi. Il genitore dovrebbe accompagnare il bambino lungo questo passaggio facendogli capire che non si può fare tutto ciò che si vuole. Winnicott, celebre studioso delle relazioni madre-bambino, direbbe che il genitore dovrebbe essere sufficientemente buono e, riprendendo lo psicoanalista Massimo Recalcati, ciò è anche utile nella prospettiva di far maturare, nell’uomo che il bambino diverrà, il desiderio e quella propensione passionale verso qualcosa nonostante le avversità.
Come fare? Beh, quello che consigliano la maggior parte di esperti della educazione è innanzitutto di essere autorevoli: ciò vuol dire stare nel mezzo tra l’essere autoritari e dispotici (“questa è casa mia e qui comando io!”) e troppo permissivi (dire sempre di sì!). Il bambino deve vedere nel genitore una figura che conosce ciò che per lui è bene e gli insegna a praticarlo, coniugando amorevolezza e moralità. I no e le regole non dovrebbero essere trasmessi sbraitando e inveendo contro il piccolo (strumenti usati quando non si vedono alternative), ma fornendo ad egli un modello di riferimento. Il genitore è infatti esempio per il bambino di come si sopravvive alle regole e ai no, praticando la civiltà: se io come madre per prima faccio i servizi di casa magari sbruffando e imprecando, probabilmente mio figlio non sarà così entusiasta di mettere a posto i suoi giochi prima di mangiare; o ancora, se io per prima non dico “per favore” o “grazie” non posso aspettarmi che mio figlio diventi Mister Gentilezza 2018. Specialmente tra gli 0 e i 7 anni, l’imitazione è lo strumento più utile in quanto i bambini sono delle vere spugne ed assorbono quanto osservano. Affinché il bambino ci ascolti, ci rispetti e ci usi come modello, dobbiamo però instaurare una buona relazione con lui, e questo si può realizzare solo se noi per primi lo ascoltiamo, lo rispettiamo e aiutiamo: i capricci dei bambini hanno sempre un significato da prendere in considerazione, sono solo apparentemente insensati e spesso nascondono una richiesta di attenzione, un “mettiti qua vicino a me e ascolta come mi sento”. Spesso accade che quando ci mettiamo “a tavolino” con il bambino, ascoltandolo, comprendendolo ed empatizzando con lui, magari non ha più così bisogno di quell’IPad o di quel pezzo di cioccolata in più.
Ci vogliono pazienza e tempo, e voglio sottolineare che i genitori non sono soli in quanto altri sistemi educativi e sociali, come scuola e attività ricreative, così come l’esperienza nel mondo di per se stessa, faranno il loro lavoro e insegneranno al bambino a vivere nel rispetto delle regole.
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