Nei litorali italiani ci sono diversi tipi di alghe, sia da cui difendersi, sia da sfruttare
La Società Italiana di Tossicologia (Sitox) ha lanciato l’allarme per lo sviluppo di alghe bentoniche che producono tossine e, a causa della tropicalizzazione e l’innalzamento delle temperature, sono presenti anche nel mar Mediterraneo. Questo tipo di alghe di piccolissime dimensioni, cresce lungo i fondali rocciosi, nelle acque calme ed è possibile riscontrare un’intossicazione immergendosi nell’acqua per inalazione delle tossine. La presenza dell’alga è stata segnalata lungo le coste tirreniche laziali, su quelle genovesi (nel 2005 erano stati segnalati diversi ricoveri da intossicazione nel mare di Genova) nelle acque romagnole, ioniche, dell’alta Toscana, in Sicilia e in Puglia. Nessun riscontro in Sardegna o nel Veneto. Sono invisibili a occhio nudo e sono riconoscibili per le chiazze bruno-rossastre o “maree rosse” da cui è meglio stare lontano tenendosi ad una distanza di almeno 100 metri. I sintomi da intossicazione possono essere febbre, congiuntiviti e problemi respiratori, nausea e vomito e dermatiti da contatto. Una particolare attenzione deve essere data alla raccolta fai da te dei mitili, come cozze o ricci, che possono essere contaminati da queste tossine crescendo nei pressi delle alghe incriminate. Un problema, quindi, non indifferente legato alla flora marittima non autoctona, che preoccupa i ricercatori.
Ma le alghe non sono tutte dannose, anzi, quelle più comuni sui litorali italiani, come la posidonia, sono indice di non inquinamento nonostante disturbino l’aspetto estetico delle spiagge deturpandone la battigia, anche con odori sgradevoli. I residui organici, se non rimossi meccanicamente, formano delle dune stratificate di color bruno definite “banquettes” che arrivano anche a un metro di altezza. Sono di solito accompagnate dalle “egagropili”, i gomitoli rotondi marroni costituiti da fibre della stessa alga legati insieme dal moto ondoso. I gestori balneari vedono le banquettes come un problema economico per la difficoltà dello smaltimento e come una causa della mancata presenza di turisti.
Con l’arrivo dell’autunno, in coincidenza con le correnti marine, le mareggiate e i forti venti, si riapre il dilemma su cosa fare con i residui di posidonia che rimangono sulle spiagge: questi rifiuti organici possono essere considerati delle risorse? Sono un indice di mare pulito, meglio di una bandiera, blu ma rimane il problema dello smaltimento. Gli inceneritori, attualmente in attività, non sono adatti a questo tipo di biomassa e creare dei centri di raccolta e smistamento dedicati alle alghe aumenterebbe anche le tasse pro capite per la gestione dei rifiuti nei comuni balneari delle coste italiane. Prima dello sviluppo turistico, gli abitanti del litorale riciclavano i residui di posidonia come materiale isolante sia termico che acustico o come fertilizzante in quanto ricco di oligominerali. Purtroppo oggi le banquettes si mescolano ai rifiuti provenienti dalle barche da diporto o dai rifiuti non biodegradabili che i turisti abbandonano in spiaggia e riuscire a selezionare solo le alghe da riciclare è un compito sempre più arduo e costoso. Nonostante questo si stanno svolgendo progetti di ricerca per finalizzare l’uso dei resti di posidonia al compostaggio per l’uso in agricoltura rispettando l’ecosistema e la sostenibilità. Le alghe buone, in futuro, avranno il loro riscatto ambientale.