Una premessa è d’obbligo. L’estensore firmatario dell’articolo è un missionario pensionato, attivo in Svizzera da 62 anni. Quanto al testo egli non presenta un problema personale, o almeno non solo, ma una sollecitazione da parte dei missionari pensionati dello zurighese. L’articolo è diretto alla comunità dei cattolici italiani per il loro diritto all’informazione e alla corresponsabilità. Tento di sintetizzare in cinque punti: 1) Ma i preti e i missionari sono stipendiati? 2) Vanno in pensione e quando? 3) Che diritti e doveri hanno? 4) Appartengono ancora al corpo degli ecclesiastici locali e stranieri? 5) Se invitati alla sostituzione di qualche missionario come vengono organizzati? Al primo punto, certo che sono stipendiati. Non dal Vaticano, ma dalle amministrazioni delle chiese locali che utilizzano i contributi delle tasse di culto, quindi dai cattolici italiani. L’ammontare si aggira su quello degli insegnanti. Ecco perché è vietato chiedere tangenti per battesimi, matrimoni, funerali, offerte di messe. Tutti riti da espletare gratuitamente. Nei cantoni in cui non vige l’obbligo delle tasse di culto, quelli francesi e Ticino, allora i preti vengono stipendiati in forma minore dalle fondazioni locali, od organismi similari.
Indubbiamente prendono la pensione a patto che abbiano versato i contributi. A questo punto va completato il quadro dicendo che i missionari vengono presentati dal loro vescovo di origine e accettati dal vescovo di arrivo. Il corpo poi degli addetti alla pastorale italiana (ora attivi fra preti e laici una settantina) è organizzato da un delegato ad hoc.
Al secondo punto: i preti vanno in pensione come tutte le persone civili a 65 anni, oppure al massimo a 75 anni secondo una normativa del Diritto canonico, nr. 538. Dopo di che possono ritirarsi a vita privata, ritornare in Italia, rimanere in Svizzera, ma non interferire sul successore della parrocchia o missione. In casi eccezionali uno può rimanere come collaboratore, ma questo secondo discrezione. Altri invece superata l’età vengono pregati a continuare nelle stesse mansioni remunerati. Questo crea confronti e spesso legittime critiche. Diverso invece il caso del sottoscritto cui fu comunicato all’età di pensionamento di non mettere piede nella attività pastorali locali, residenza sì ma in silenzio.
Alla quale ingiunzione il sottoscritto volente o nolente fu ossequiente, celebrando quindi messe e tenendo conferenze fuori territorio. Spiacevoli situazioni capitarono: come in più di un caso, mancando qui il sacerdote e pressandomi il sagrestano all’ultimo momento per la sostituzione io rifiutai, per evitare interventi dall’alto e conseguenti minacce. La gente restava senza messa, nonostante che il canone ecclesiastico al nr. 1752 dica che la salvezza delle anime è la suprema legge.
Alla terza domanda: se i preti pensionati hanno dei diritti e dei doveri. Certo hanno il diritto di sentirsi preti anche se non esercitano più, soprattutto se si pensa, come al sottoscritto (mi scuso per l’autocitazione) che dopo 62 anni di vita per la postorale a favore dei migranti e dell’integrazione questa vita è diventata per me una seconda natura. Pretendere di dirgli di non sentirsi più prete è come toglierli la pelle da addosso. Tanto più che nel giorno dell’Ordinazione ogni novello prete viene esaltato con l’incenso “Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco.” (Salmo 110).
Ma qui un’anomalia fra preti pensionati italiani e preti pensionati svizzeri. Mentre questi ultimi (con i pensionati italiani) vengono invitati alle assemblee decanali zonali con diritto di voto attivo, i pensionati italiani non vengono nemmeno informati delle loro riunioni italiane. Praticamente esclusi dalla loro famiglia e discriminati. La Delegazione tenta di salvarsi in corner sostenendo che le riunioni degli svizzeri hanno valore giuridico, quello degli italiani valore simbolico. Un motivo di più. Tutto un arrampicarsi sugli specchi: si dimentica che la lettera uccide e lo spirito vivifica (2° Cor. 3,6) e che quindi le riunioni anche per i pensionati italiani al di là della legge rispondono all’esigenza di uguaglianza o secondo un’espressione abusata di “fraternità sacerdotale”. Che poi un pensionato rinunci al suo diritto di presenziare è altra cosa, ma negargli il diritto come ora avviene, è forma di violenza. E con ciò si è risposto anche al quesito nr. 4.
Il seguente e l’ultimo concerne le sostituzioni e collaborazioni di cui i pensionati sono talvolta richiesti. Un residente in quel di Uster, don G. Rossi, tiene una lista di 43 viaggi fatti a vuoto, dopo di essere stato ingaggiato da tale o tal altra missione che lo richiedeva per una messa, un matrimonio, un funerale. Nel senso che all’ora stabilita magari si trovano due preti, puntualmente e contemporaneamente, uno assunto dalla segretaria, l’altro dal parroco. E dato il carattere conciliante cede il posto lui, dopo di aver fatto magari qualche centinaio di km andata e ritorno. Questo è successo pure al sottoscritto a Windisch il 2 novembre 18. Altre volte si trova, sempre lo stesso Rossi, con la chiesa vuota, messa abolita, senza ricevere controinformazione, prima della partenza dalla sua residenza. Becco e bastonato ci rimette anche la benzina senza nessun indennizzo. E gli duole citare anche qualche nome frequente: Spreitenbach, Glarus, Linthal, Dietikon, Affoltern, Bonstetten, Mettmenstetten, Baden, Wettingen, Zofingen, Schlieren, Stäfa, Uster, Dübendorf, Egg, ed altri. L’unico modo di evitare tale disorganizzazione sarebbe che la lista delle messe e dei celebranti svizzeri e stranieri la tenesse un’unica persona, dipendente dalla parrocchia svizzera locale.
Altre volte succede che viene invitato un sostituto da Lugano, Friburgo in una missione lontana 200 km quando a 50-500 metri si trova libero e inoperoso un missionario pensionato. Civiltà dello spreco, direbbe Papa Francesco, tanto paga Pantalone, cioè l’Amministrazione locale, cioè il cattolico contribuente italiano. Caso emblematico: quello della Missione di Rapperswil. Per 14 mesi, essendo malato il titolare, un gruppo di fedeli sentendosi abbandonati chiese la collaborazione di qualche prete pensionato. Una terna composta da A. Ferrara di Winterthur, M. Plona di Männedorf, A. Spadacini di Stäfa garantirono messe, servizi, riunioni per turno fra di loro. Qualcuno sussurrò che lo fecero abusivamente senza il permesso del vescovo. Documento che invece possiedono e lo possono esibire ai dubbiosi. Così hanno potuto per oltre un anno alimentare spiritualmente una comunità con il mandato dell’autorità e nello spirito del codice “la prima legge è la salvezza delle anime”.
Ovvio che tale situazione nel suo complesso alquanto incresciosa sia finita per iscritto dal Nunzio Apostolico di Berna, il quale alla missiva rispose: “Posso immaginare che non sia facile prevedere l’apertura di una pista di dialogo per affrontare il dramma dei missionari a riposo. Grato di essere tenuto al corrente della questione”. Berna 23-7-16. Th.Gullikson. Forse “dramma” sarebbe espressione esagerata, diciamo semplicemente “situazione”. La presente informazione è stata richiesta opportuna non tanto come un processo alla conduzione delle missioni italiane in Svizzera, quanto un contributo ad una migliore collaborazione ed armonia. Il primo passo a tale scopo è ovviamente un incontro preliminare a dialogo fra le Delegazione e i missionari pensionati allo scopo di integrarli pienamente non tanto nelle attività quanto nel “sentimento e nel diritto di appartenenza allo stesso corpo”. Conoscenza anche per i missionari, collaboratrici, collaboratori di recente arrivati affinché contribuiscano ad una comunità missionaria organizzata e solidale.
Albino Michelin