Leggendo la biografia di Andreotti talvolta sorge il dubbio se il personaggio appartenga alla categoria dei politici da ricordare o da dimenticare. È la
provocazione cui ci stimola la lettura di “C’era una volta Andreotti”, pubblicato da Solferino, casa editrice del gruppo Rizzoli Corriere della Sera-RCS, e scritto dal commentatore politico Massimo Franco in occasione del centenario della nascita dell’uomo politico romano. Dalla fine degli anni Trenta
e sino alla sua scomparsa nel 2013, Giulio Andreotti ha collezionato un impressionante elenco di cariche istituzionali nella Repubblica Italiana. Candidato a 10 elezioni politiche, in 7 occasioni è stato nominato Presidente del Consiglio. Per ben 26 volte Andreotti ha occupato la poltrona di ministeri-chiave, fra cui: difesa, affari esteri, partecipazioni statali, finanze; politiche comunitarie. Ha avuto un posto nel Parlamento di Roma per 68 lunghissimi anni. Era presente alla Assemblea costituente della Repubblica, al termine della seconda guerra mondiale. Sua la firma, in rappresentanza dell’Italia, al trattato di Maastricht che nel 1992 segnò le basi politico-economiche-monetarie dell’attuale politica comunitaria, ispirata ai criteri di governo tedeschi: controllo della spesa pubblica, rigore finanziario, stabilità della valuta, bassa inflazione, rilancio della produttività. Regole cui i governi italiani degli ultimi decenni hanno cercato di ispirarsi in teoria, ma che in pratica hanno applicato con incerta fortuna. È proprio l’avvento della Unione Europea che ha segnato il destino politico di Andreotti e della classe politica italiana del dopoguerra. Inizialmente adeguata alle esigenze di una politica di contrapposizione tra il blocco occidentale e quello sovietico: ma che poi ha mostrato i suoi limiti quando obiettivo della nostra Repubblica è diventato l’integrazione con gli altri paesi della Unione comunitaria. È da allora che l’elettorato italiano ha scoperto che la nuova classe politica non era probabilmente all’altezza delle sue aspirazioni e possibilità in Europa. Risultato: gli elettori hanno iniziato a votare chiunque promettesse un rinnovamento. Salvo trovarsi delusi e rivolgere la loro fiducia a qualsiasi altro schieramento, anche opposto. Andreotti ha seguito questo destino. Terminato il periodo in cui si era imposto come dominatore assoluto, furbo e ironico della politica italiana, ha trascorso gli ultimi anni della sua esistenza dividendosi tra la poltrona di senatore a vita nel Parlamento di Roma ed i banchi delle aule di giustizia per difendersi da accuse da cui sarà prosciolto. Disse di lui il socialista Bettino Craxi: Andreotti è “la volpe che finirà in pellicceria”. Questa previsione non si è realizzata. Infatti ora ad Andreotti non resta che il giudizio della storia.
NL TOMEI