Arancione? Sbagliato! I pesci di allevamento vengono colorati per assomigliare a quelli selvaggi sempre più a rischio di estinzione
La carne dei salmoni di allevamento è grigia. Poco prima della macellazione viene colorata artificialmente di arancione con integratori a base di additivi di cui il più naturale è il carotene (ma spesso vengono usati coloranti chimici) per un semplice motivo: il salmone selvaggio si ciba di gamberi e Krill che gli donano il colore tipico mentre a quelli in allevamento vengono somministrati mangimi artificiali lontani dal cibo che si trova in natura. Un esperto del settore, interrogato dal sito Linkiesta, dichiara: «Se il salmone d’allevamento fosse grigio, tutti comprerebbero salmone selvaggio. In questo modo la gente non li distingue, trova un colore che riconosce e compra il salmone meno caro che trova sul banco, quello di allevamento. Così si spingono fuori dal mercato i produttori di salmone selvaggio. Noi compriamo e mangiamo l’imitazione di un pesce, mentre il pesce originale scompare. Sarebbe buffo, se non fosse tragico».
Sono notizie purtroppo risapute ma a gridare un forte allarme è stato il documentario “Artifishal” premiato al Tribeca Film Festival Di New York, che ha messo in primo piano la battaglia doverosa che bisogna compiere per evitare l’estinzione dei pesci – in questo caso dei salmoni selvaggi – di fronte ad un aumento esponenziale di allevamenti inquinanti e poco sostenibili. I paesi messi sotto processo sono Islanda, Scozia, Irlanda e Norvegia, luoghi da cui proviene la percentuale maggiore di tranci di salmone per la grande distribuzione.
Sul sito del documentario (Patagonia.eu) ci sono le date e i luoghi in cui il film verrà proiettato a scopo di divulgazione nelle principali città europee ma anche le risposte alle domande più frequenti sull’allevamento di salmoni. Inoltre, viene anche chiesto di sostenere la causa firmando una petizione on line.
Prima di tutto si fa luce sulla differenza tra il salmone selvaggio e i pesci di allevamento. I primi, nati e cresciuti in condizioni naturali vivono e si riproducono grazie ad una diversità genetica proveniente da una selezione naturale. I secondi vengono allevati in base alle esigenze del mercato e alimentati con mangimi contenenti medicinali, antibiotici in acque che contengono pesticidi contro le malattie. Il risultato? Le frequenti e inevitabili fughe (basta una mareggiata o un buco nella rete) di questi pesci di allevamento finiscono per aggregarsi ai salmoni selvaggi contaminandoli con malattie che questi ultimi non possono gestire, morendone in molti casi. C’è anche un altro tipo di allevamento che cresce avannotti in cattività per poi rilasciarli in mare aperto ma anche in questo caso il problema è l’incapacità di adattamento in acque naturali dei piccoli pesci fatti crescere inizialmente in vasche con la conseguente morte di una percentuale elevatissima.
Il film denuncia anche le condizioni di allevamento nelle vasche in mare aperto: 200 mila pesci in una pozza di 80 metri di profondità che girano costantemente in tondo, a volte ciechi o devastati da malattie, in acque torbide di escrementi e di residui di cibo. Secondo linkiesta solo le acque producono gli stessi liquami dell’intera città di Rejkavik e minacciano proprio quei gamberi e Krill che nei fiordi sono la sussistenza dei salmoni selvaggi. In Islanda oggi esistono 500 mila salmoni selvaggi, 40 anni fa erano più di un milione e mezzo.
Come scegliere, dunque, di cibarsi in modo sostenibile? Esiste una certificazione denominata ASC (Aquaculture Stewardship Councils) che distingue i salmoni provenienti da allevamenti che non sono pericolosi per i pesci selvaggi e che non minacciano l’ambiente. In questo caso gli allevamenti seguono un disciplinare che evita l’inquinamento dalle acque e lo sviluppo corretto dei pesci ed è costantemente monitorato da audit esterni che ne devono controllare la produzione e gli standart qualitativi. Il salmone venduto da Ikea e’ certificato.