In occasione della prima di Cronofobia, film presentato domenica scorsa al Riffraff di Zurigo, abbiamo intervistato il regista Francesco Rizzi su questo lungometraggio che, in tanti prestigiosi festival cinematografici, sta riscuotendo consensi e apprezzamenti.
Pochi giorni fa Francesco Rizzi era ad Edimburgo al Festival internazionale; A Zurigo è arrivato direttamente dal Festival di Ischia dove il film è stato applaudito. Tante, quindi, le tappe di presentazione di un film ispirato e suggestivo che sta avendo il giusto riscontro tra i cinefili europei.
Le recensioni di questo film sfruttano aggettivi come “Linchiano” e “Criptico”. Francesco, confermi queste descrizioni?
In realtà no. È un film molto più diretto di quel che si possa intuire all’inizio. La storia è particolare e strutturata in un modo che ogni cosa segue un suo percorso per chiudersi senza l’esigenza di finali troppo aperti e per questo interpretabili a piacimento. Ho sentito la necessità di incuriosire il pubblico trascinandolo in una storia che all’inizio sembra complicata ma in cui ci sono ragioni evidenti che man mano si scoprono. Direi che abbiamo ricreato le atmosfere e la fotografia somigliante a un film di David Linch ma il paragone si limita a questo.
Scartiamo questi aggettivi allora. Durante le presentazioni del film in giro per l’Europa, qual è stata la descrizione che calza il tuo lungometraggio perfettamente?
Credo sia “intrigante”. E lo è proprio per la trama inaspettata e per i ruoli dei protagonisti. Ci sono dei giochi di ruolo che stimolano lo spettatore a capirne il senso e il significato. Questo trascina il pubblico in un’atmosfera quasi da thriller anche se il film non si può definire tale.
La trama si snoda in una storia in cui il protagonista mostra un’ossessione per una donna creando un legame di difficile comprensione inizialmente…
Esatto. L’inizio è una parte cruciale del film perché non si riesce a capire quale sia il ruolo del protagonista, cosa stia facendo e perché sia ossessionato da questa donna. C’è un mistero che si dipana pian piano. Ho voluto espressamente raccontare il lavoro “insolito” che svolge l’uomo per incuriosire lo spettatore verso una realtà che esiste e in cui io stesso mi sono dedicato anni fa. È da questo lavoro particolare, in incognito, che è nata l’esigenza di scrivere questo copione per trasmettere la psicologia di un uomo che svolge una mansione in cui bisogna avere tante facce, tanti volti e che invece vuole essere solo se stesso. La figura femminile è tuttavia quella di una donna che sta chiaramente vivendo un periodo atroce della sua vita. Ho sviluppato al meglio le sfumature di questo passaggio psicologico con tanti particolari che si snodano fino a comprendere la tragedia che la donna ha subito. E, soprattutto, ad accomunarla con l’ossessione dell’uomo.
Non è un film rassicurante…
No, è un film che sprona chi lo guarda a rimanere attivo, a farsi domande, a cercare di capire e ha bisogno, soprattutto all’inizio di tenere alta l’attenzione. È un film che scena dopo scena ti porta nel suo mondo. E, a luci spente, ti lascia qualcosa a cui pensare.
Questo film non è tratto da un romanzo ma da una storia da te immaginata. Sei riuscito a trasmettere davvero quello che avevi in mente o hai dovuto raggiungere compromessi?
È un film che si è innescato nel 2012. Nonostante la lunga trafila della produzione sono riuscito ad ottenere un risultato che mi soddisfa e lo sento molto mio; ho una connessione viscerale con questa storia.
Avete girato le scene in Svizzera ma fuori dai luoghi comuni della Confederazione, senza montagne e prati verdi.
Abbiamo girato in Svizzera in luoghi di passaggio come le stazioni di rifornimento in autostrada o i centri commerciali, posti che tutti conosciamo che io definisco come “non luoghi” di “intima distanza” parafrasando il rapporto dei due protagonisti. È un film ricco di particolari ma ogni particolare è simile e connesso alla storia dell’uomo e della donna, quindi anche la fotografia e i luoghi gli somigliano. In questi luoghi si vede lo sforzo di far sentire a proprio agio le persone ma sono standardizzati e più cercano di essere piacevoli per tutti più sono spersonalizzati, freddi e distanti.
Durante la produzione hai scartato o incluso qualcosa tenendo in considerazione i gusti del pubblico?
Sinceramente no. Questo non è un film adatto a un pubblico vastissimo, non è neanche di nicchia ma è un prodotto per un pubblico curioso e disposto a farsi stupire da una storia particolare senza effetti speciali. In ogni caso tradirei me stesso se facessi un film solo adatto ad un certo tipo di pubblico. Serve autenticità ed è inevitabile non farsi trascinare dall’esigenza di accontentare un pubblico prestabilito.
Il ruolo del protagonista era già predestinato a Vinicio Marchioni?
Sì. Lo avevo visto interpretare “Il freddo” nella serie Romanzo Criminale e avevo capito che era l’attore più adatto al ruolo di un uomo di poche parole ma di pensieri veloci. È stato bravissimo a capire il personaggio e, dopo aver letto il copione, ha accettato subito questo ruolo molto difficile da interpretare perché fatto di sguardi, gesti e posture. Una prova d’attore straordinaria sicuramente supportato da altri ottimi attori.
Il film sarà visibile nelle sale della Svizzera tedesca dal 4 luglio. Buona visione!
Gloria Bressan