All’annuncio dell’aereo caduto a Smolensk, la Polonia è rimasta attonita per ore ed ore, come quando lo fu l’Europa alla notizia della morte improvvisa ed inaspettata di Napoleone Bonaparte.
Anche allora il mondo rimase “attonito”, secondo l’aggettivo usato da Manzoni ne “Il cinque maggio”. Poi, domenica 10 aprile, all’arrivo dell’aereo che riportava la salma del presidente e delle altre vittime in patria, la Polonia si è sciolta in lacrime. Una folla immensa si è riversata a Varsavia per accogliere ed abbracciare il Presidente Lech Kaczynski e le altre 96 vittime della tragedia.
Non era una folla curiosa, era una folla che piangeva, e piangevano tutti i polacchi che stavano davanti alla televisione. Tutti. Non era la gente che piangeva, a piangere era l’Anima del popolo polacco, l’Anima della Polonia, l’Anima di una Nazione schiacciata negli ultimi secoli, e specialmente nell’ultimo, dall’oppressione e dall’umiliazione.
La Polonia ha pianto quando i nazisti di Hitler l’hanno invasa a ovest e ne hanno lacerato una parte, ha pianto quando i comunisti di Stalin l’hanno invasa ad est e ne hanno strappato un’altra parte. Ed ha pianto quando, dopo la guerra, l’Unione Sovietica l’ha occupata, oppressa e martoriata tutta. E prima ancora, nel luglio del 1943, aveva pianto per la caduta dell’aereo che da Gibilterra stava riportando a Londra il capo del governo in esilio, Wladyslaw Sikorski.
Abbiamo ripetuto tante volte il sostantivo e participio passato “pianto”, e non a caso. Se domandate a qualsiasi polacco come ha reagito alla notizia dell’aereo precipitato e dell’aereo che stava atterrando a Varsavia con le salme delle vittime, vi dirà che ha pianto.
Tutti, avversari e sostenitori del Presidente o del governo, uniti, appunto, dal destino comune di essere stati strappati tante volte nelle carni del territorio e dell’Anima.
Le Autorità russe hanno rivelato che la torre di controllo aveva più volte avvertito il pilota che a Smolensk c’era nebbia fitta, ma che il pilota evidentemente non ne ha tenuto conto. Si sa che Smolensk è una località isolata, non un grande aeroporto e si sa che prima della pista d’atterraggio ci sono collinette con alberi. E si sa che l’aereo ha urtato le cime di quegli alberi ed è precipitato tra le fiamme, proprio com’è successo ad un Atr dell’Alitalia sulle colline di Baden molti anni fa.
Per l’Atr italiano fu l’altimetro che segnalava una falsa altitudine, probabilmente è stato così anche per il Tupolev-154, 20 anni di servizio, revisionato tre mesi fa.
Non sapremo mai, forse, la vera causa della tragedia, è possibile che si sia trattato di un incidente, di un semplice incidente. Solo che è stato un incidente dove, come ha detto Lech Walesa, è stata “decapitata” tutta la Polonia (presidente, ministri, sottosegretari, rappresentanti delle istituzioni politiche economiche, dell’esercito, della cultura, della religione, ex capi di Stato), e questo basta perché l’Anima della Polonia non creda all’incidente, non potrà mai crederci. Ci sarà sicuramente una verità ufficiale, ma la verità della Polonia, di ogni polacco, sarà un’altra, quella che viene dalla Storia, dalla sua Storia.
E la Storia dice che l’Armata Rossa sovietica trucidò nel 1941 a Katyn un’intera armata polacca, 22 mila soldati e generali, nascondendo la verità e facendone ricadere la colpa sui nazisti.
La Storia dice anche che prima ancora i sovietici avevano smembrato il Paese e pure allora si erano nascosti dietro le minacce dei nazisti con i quali avevano stretto nel 1938 un patto, il famigerato Patto Ribbentrop-Molotov, con cui avevano programmato insieme la spartizione della Polonia. La Storia dice pure che il capo del governo Wladyslaw Sikorski, prima di morire in un “incidente” aereo, aveva chiesto a Stalin, con cui era tornato in buoni rapporti, un’inchiesta sull’eccidio di Katyn, ma, appunto, era dovuto fuggire.
Forse l’aereo di Sikorski cadde veramente per un incidente, ma come si fa a credere ad un incidente quando a Gibilterra, da dove l’aereo decollò, operava il capo degli 007 inglesi, Kim Fhilby, colui che negli Anni Trenta era passato con i sovietici e faceva il doppio gioco?
E come credere ora ad un incidente quando il presidente Kaczynski è stato uno dei più accesi sostenitori dello scudo spaziale americano in Polonia e uno dei capi di Stato che, nella guerra Georgia-Russia dell’agosto del 2008, aveva espresso solidarietà al presidente georgiano? E poi, non era colui che voleva la verità sui rapporti di tanti funzionari che prima di diventare anticomunisti erano stati zelanti esecutori delle direttive di Mosca?
E infine, come si fa a credere ad un incidente quando sul luogo della tragedia, nella località isolata di Smolensk, proprio vicino Katyn, è stato negato l’accesso ai giornalisti polacchi e tutte le operazioni di recupero sono avvenute nel segreto più assoluto?
La Polonia piange i suoi morti, piange il suo destino, ma le sue non sono lacrime per un incidente, sono lacrime per i martiri della sua Storia, martiri che andavano a commemorare altri martiri.