È successo di tutto la settimana scorsa alla direzione nazionale del Pdl ma, alla luce di quanto accaduto nelle settimane precedenti e subito dopo le elezioni regionali, la rottura tra Berlusconi e Fini era nell’aria.
Fini da tempo reclamava più democrazia interna, meno attenzione alle richieste leghiste, il semi presidenzialismo alla francese e una nuova legge elettorale, la concessione automatica della cittadinanza ai bambini stranieri con dimezzamento dei tempi per gli adulti e, infine, più rispetto per la magistratura.
Il fatto è che alcuni temi sembravano al capo del governo strumentali e polemici, ad esempio lo scontro sulla giustizia, lui che è continuamente attaccato dalla magistratura per accuse risibili, quali il favoreggiamento ai mafiosi.
Come si ricorderà, in un processo a Torino, i pm vollero la testimonianza di Spatuzza senza aver mai verificato la sua attendibilità, allo stesso modo ingigantirono le illazioni del figlio di Ciancimino che successivamente gli stessi giudici ritennero privo di credibilità.
Insomma, Berlusconi veniva attaccato dai pm con lo scopo di disarcionarlo dal governo (come accadde già nel 1994) e Fini affermava che “la magistratura” deve svolgere il proprio lavoro.
Quanto poi alla legge elettorale, la richiesta di Fini, venuta dopo le elezioni, aveva l’aria di essere una proposta a favore dell’opposizione.
Dunque, c’è stato un crescendo di prese di distanza da parte di Fini – che i commentatori fanno risalire all’indomani della vittoria del 2008 – con lo scopo da parte di quest’ultimo di “distinguersi” dal capo del governo e fargli “da controcanto” per logorarlo e prenderne il posto.
Ecco, il tentativo di critica sistematica dall’interno, dopo essere continuamente attaccato dagli avversari, dalla magistratura, dalla stampa scritta e dai talk-show politici, deve essere sembrato particolarmente irritante per il premier che, dopo aver vinto, contro le aspettative di tutti, le elezioni regionali, ha deciso di non sottoporsi più al rituale dell’incontro di chiarificazione che non chiariva nulla.
Tanto più che vari esponenti legati a Fini, da Granata a Bocchino, non perdevano occasione per ammiccare all’opposizione ed attaccare la politica della maggioranza, e lo stesso Fini aveva precisato al premier che intendeva costituire gruppi parlamentari autonomi. Cioè una mini scissione.
È successo così che, in occasione della direzione di giovedì 21 aprile, quando Fini ha precisato punto per punto le critiche al premier, insistendo sull’asse Pdl-Lega, a cui Berlusconi avrebbe svenduto la politica del governo, il presidente del Consiglio ha replicato a muso duro dicendo che se Fini voleva fare politica nel Pdl doveva dimettersi da presidente della Camera e affermando che per lui, ormai, non c’era più nulla da chiarire.
Replica di Fini che alzandosi dalla sedia e puntandogli il dito contro gli chiedeva: “Mi vuoi cacciare?” e l’altro che in sostanza gli diceva che se se ne andava sarebbe stato meglio.
Insomma, un duello verbale con rottura di rapporti personali. All’indomani, Berlusconi rimaneva sempre sulle sue e Fini dichiarava che non intendeva né dimettersi da presidente della Camera, né andarsene dal Pdl.
D’altra parte, la direzione nazionale aveva approvato un documento votato dalla stragrande maggioranza (solo 12 voti contrari e un astenuto) con cui si ammette il dissenso, ma si vieta la costituzione delle correnti. Il voto, in pratica, aveva isolato Fini, e ancora di più lo avevano isolato i deputati e senatori ex An che, in grande maggioranza, avevano ribadito la loro appartenenza al Pdl (in risposta alla conta finiana cui avevano aderito solo 39 deputati e 13 senatori).
La direzione del Pdl, con la maggioranza attorno a Berlusconi, ha provocato un terremoto politico.
Ad accendere la miccia – anche se in realtà per spegnerla – è intervenuto Bossi che ha parlato di “possibile crollo dell’alleanza”, che comunque stava per arrivare al capolinea.
I numeri per il governo ci sono sempre, ma il ragionamento di Bossi era o riforme o meglio andare alle urne.
Pare che il ragionamento di Berlusconi non fosse diverso, ma col passare dei giorni il rischio di una crisi si è allontanato di molto.
Il presidente del Consiglio con Fini ha rotto, non intende più essere logorato, anzi, si comporta come se non esistesse e comunque va avanti per la sua strada, ma ha lanciato messaggi di pacificazione agli avversari e alle istituzioni.
In sostanza ha dichiarato che intende aprire il confronto sulle riforme e che le vuole “condivise”.
A Milano, per la Scala, ha parlato con gli esponenti dell’opposizione elogiando Giorgio Napolitano che, tra l’altro, ha lanciato gli stessi messaggi mettendo l’accento sulla pacificazione nazionale cogliendo l’occasione del 25 Aprile.
E Fini? Anche lui, in nettissima minoranza all’interno del Pdl, ha dato mandato ai “suoi” di spegnere l’incendio, rifiutando qualsiasi avance proveniente dall’opposizione che lo ha considerato (Rutelli) come spazio allargato delle opposizioni stesse. Anche perché il presidente della Camera è consapevole del rischio reale di fine improvvisa della legislatura se gli animi verranno esasperati.
Forse, non ha tutti i torti il presidente del Senato che ha parlato di “quiete dopo la tempesta” e forse non è azzardato ipotizzare una svolta nella regia del premier sulle riforme e verso le opposizioni.
Una regia più accorta e toni più concilianti, con un messaggio unitario in occasione del 25 Aprile.