Gli ultimi avvenimenti ci hanno confermato che l’uomo si sente il dominatore del mondo, ma un essere invisibile può annientarlo. Il COVID-19, infatti ci ha mostrato quanto un virus possa essere pericoloso e addirittura letale per l’uomo. Ma l’idea che si muoia per via di un virus sconosciuto risulta senza dubbio più ammissibile del fatto che, ancora nel 2020, si possa morire a causa del colore della pelle. Eppure tanti casi lo mostrano, il caso di Floyd lo ha confermato e sembra aver portato alla ribalta il problema del razzismo. L’America si trova ad affrontare le rivolte di massa contro i poteri forti e suprematisti e soprattutto contro l’odio razziale.
Le proteste nate da un’idea valida si sono trasformate in incontrollabili guerriglie con tanto di attacchi e dimostrazioni violente che non hanno risparmiato monumenti e statue storiche in segno di ribellione contro i concetti di colonialismo, razzismo e schiavismo. Così, tra le altre, sono state colpite le statue del presidente Jefferson e di Cristoforo Colombo perché simboli di repressione e violenza. Ma, ai fini della giusta protesta sorta per valide cause, cosa risolve distruggere una statua? Una statua ha pur sempre un valore storico, racconta un personaggio e quello che ha fatto in vita, può essere preso da esempio da seguire o da evitare. Sulla scia delle rivolte americane, anche in Italia la protesta ha voluto colpire i monumenti simbolo e, in particolar modo, ha preso di mira la statua del giornalista Indro Montanelli a Milano. Un manto di vernice rossa ha imbrattato il monumento sito nel parco a lui dedicato e una scritta esplicita cita: “Razzista e stupratore”.
È chiaro che è riferito alla vicenda raccontata dallo stesso giornalista, quando partì volontario in Africa e lì sposò, comprandola dal padre, una bambina del luogo di 12 anni, Destà, che tenne finché non rimpatriò cedendola al successivo marito. Sapendo della vicenda, non è difficile essere d’accordo con la scritta apparsa nottetempo sulla statua del noto giornalista. Non è difficile essere d’accordo con gli studenti milanesi di RSM e Lume, che hanno rivendicato l’atto vandalico dichiarando che “le statue hanno una funzione sociale collettiva, perché occupano lo spazio pubblico rappresentando ciò che una classe dirigente decide di celebrare della propria storia”.
“Crediamo che figure come quella di Indro Montanelli siano dannose per l’immaginario di tutti e in una città come Milano, medaglia d’oro alla Resistenza, la statua di Indro Montanelli è una contraddizione che non possiamo più accettare”, spiegano sui social gli studenti dei due collettivi. “Un colonialista che ha fatto dello schiavismo una parte importante della sua attività politica non può e non deve essere celebrato in pubblica piazza” per questo, continuano gli autori del gesto, “chiediamo, ad alta voce e con convinzione, l’abbattimento della statua a suo nome. Non possiamo accettare che vengano venerati come esempi da imitare personaggi che hanno fatto dello schiavismo, del colonialismo, della misoginia, del fascismo e del razzismo una mentalità con ben pochi ripensamenti”.
I concetti espressi sono condivisibili, ma l’atto lo è sicuramente meno. Non è certo distruggendo una statua, che ha sempre un valore storico e anche artistico, che può essere cambiata o cancellata la storia di un Paese. Un monumento può essere insegnamento e monito per la collettività: la statua di Indro Montanelli rappresenta un momento storico italiano segnato da ideali e ideologie che adesso, per fortuna, sono superate, ma che sono esistite e hanno rappresentato il nostro Paese. Proprio per questo motivo, non bisogna mai negare la storia, perché ci aiuta a capire ciò che è giusto essere e cosa si vuole essere.