È stato lasciato morire Stefano Cucchi. I medici della struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove il geometra romano morì il 22 ottobre scorso (una settimana dopo il suo arresto per possesso di droga), per giorni non hanno fatto nulla, non hanno messo in atto neanche le più elementari procedure, come somministrare un cucchiaino di zucchero, che gli avrebbero potuto salvare la vita.
È un quadro drammatico quello che emerge dal capo di imputazione firmato dai pm della Procura di Roma Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy.
In totale sono tredici gli indagati al termine di una inchiesta durante la quale i pm hanno acquisito oltre 80 testimonianze. Per sei medici, tre infermieri e un dirigente del provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria (Prap) le accuse sono, a vario titolo, di favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio e falsità ideologica.
I reati contestati, invece, ai tre agenti penitenziari sono lesioni e abuso di autorità. Per i primi viene a cadere l’accusa di omicidio colposo ma secondo i magistrati della procura di Roma, la morte conseguente all’“abbandono di persona incapace” profila una fattispecie più grave, sanzionabile fino ad 8 anni di reclusione rispetto ai 5 anni previsti per omicidio colposo.
Nel capo di imputazione i pm scrivono che i medici e gli infermieri in servizio dal 18 ottobre al 22 ottobre dello scorso anno “abbandonavano Stefano Cucchi del quale dovevano avere cura” in quanto “incapace di provvedere a se stesso”.
Le condizioni del giovane geometra romano erano gravi e quindi “esigeva il pieno attivarsi dei sanitari” che invece “omettevano di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza”.
Al personale ospedaliero tra le varie omissioni contestate ce n’è una che riguarda la mancata somministrazione di zucchero al paziente. Gli indagati non hanno mosso un dito anche se Cucchi, come rilevato dagli esami effettuati il 19 ottobre, aveva “valori di glicemia ematica pari a 40 mg/dl” che è “al di sotto della soglia ritenuta dalla letteratura scientifica come pericolosa per la vita”.
Secondo i pm non si è intervenuto “neppure con una semplice misura quale la somministrazione di un minimo quantitativo di zucchero sciolto in un bicchiere d’acqua che il paziente assumeva regolarmente, misura questa idonea ad evitare il decesso”.
Secondo quanto ricostruito dai magistrati capitolini, dopo il pestaggio (fu preso a calci e spinto) messo in atto dalle guardie carcerarie il 16 ottobre, in una delle celle di sicurezza del tribunale di Roma, dove Cucchi si trovava in attesa dell’udienza di convalida, è scattata una vera e propria operazione di copertura per impedire che la verità venisse fuori.
In particolare il funzionario del Prap istigò uno dei medici indagati, che il 17 ottobre era in servizio presso la struttura protetta del Pertini, “a indicare falsamente nell’esame obiettivo riportato nella cartella clinica redatta all’ingresso del paziente che le condizioni generali di Cucchi erano buone”.
Il responsabile regionale dell’amministrazione penitenziaria, inoltre, “si sarebbe recato in orario extralavorativo (sabato 17 ottobre alle 18) al Pertini redigendo la richiesta di disponibilità del posto letto per il ricovero di Cucchi che si trovava presso il pronto soccorso del Fatebenefratelli”.
I pm nell’atto di conclusione delle indagini accusano il medico di turno nella struttura protetta del Pertini, Flaminia Bruno, di aver dichiarato il falso nel certificato di morte di Cucchi. La dottoressa “avrebbe falsamente attestato che si trattava di morte naturale, pur essendo a conoscenza delle patologie di cui era affetto”.
I medici dell’ospedale romano, in un primo tempo sospesi e poi reintegrati, ora continuano ad essere in servizio. Il segretario provinciale di Roma dell’Ordine dei Medici, Filippo Custureri, precisa che “l’indagine dell’Ordine subito attivata ora attende l’esito di un eventuale processo”.
Amaro il commento del legale della famiglia Cucchi: “Le ultime ore della vita di Stefano ricordano quelle degli internati di Auschwitz”.