Una recente sentenza del Tribunale di Roma – emessa lo scorso 11 novembre – tratta nuovamente degli effetti della pandemia in atto sul rapporto di locazione. Nella pronuncia, in particolare, si esclude l’esistenza, nel nostro ordinamento, di norme e principi generali che, al di fuori di ipotesi specificatamente indicate, obblighino alla “rinegoziazione dei contratti divenuti svantaggiosi per taluna delle parti, ancorché in conseguenza di eventi eccezionali ed imprevedibili”, ovvero consentano al “giudice di modificare i regolamenti contrattuali liberamente concordati dalle parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale”.
Uso diverso della pattuizione del canone in misura differenziata e crescente
“Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione, devono ritenersi legittimi, tanto il patto con il quale le parti, all’atto della conclusione del contratto, predeterminano il canone in una misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; quanto il patto successivo con il quale le parti provvedono consensualmente, nel corso del rapporto, a stabilire una misura del canone diversa da quella originariamente stabilita; la legittimità di tali patti (iniziali o successivi) dev’essere peraltro esclusa là dove risulti (dal testo del patto o da elementi extratestuali) che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dall’art. 1, comma 9-sexies, della legge n. 118 del 1985), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, primo comma, della stessa legge”. Così la Cassazione, con ordinanza n. 33884 del 21.11.2021.