I primi anni del nuovo ventennio ci stanno mettendo a dura prova. Dopo una Pandemia mondiale per un’epidemia ancora in atto, tutto ci voleva fuorché una guerra. Il conflitto che si è aperto lo scorso giovedì con l’attacco della Russia all’Ucraina ha alzato non di poco il livello di stress della popolazione di tutto il mondo. Molti diranno che le guerre ci sono sempre state e che ce ne sono diverse nel mondo, ma come mai questo conflitto desta tutta questa attenzione? La soglia di pericolosità è la risposta.
Questa guerra, infatti, è una minaccia mondiale, perché quando entrano in gioco – o forse è meglio dire rientrano in gioco – certe potenze mondiali, echi di passati nefasti, allora le speranze si fanno flebili. La minaccia atomica è effettiva e quando aleggia un rischio nucleare significa che in pericolo c’è l’umanità intera.
In questo momento sono in atto le trattative alle quali le flebili speranze si aggrappano fortemente. Dopo cinque giorni di conflitto, finalmente, si è riusciti ad aprire un negoziato per scongiurare il peggio. Gli sviluppi di questa giornata determineranno il futuro di questo evento storico.
Nel frattempo non possiamo che costatare la drammaticità di quello che sta avvenendo con gente che fugge, che lotta, che si rifugia, che si abbraccia per dirsi addio, perché non è detto che potrà rifarlo. Ci giungono notizie e immagini di folle di gente che manifestano il dissenso alla guerra, di dimostranti trascinati a forza dagli agenti di polizia russa per sgombrare le strade. Le mamme e le donne russe che non accettano che i figli e i mariti siano mandati al fronte; le mamme e le donne ucraine che devono portare i figli in salvo e devono salutare gli uomini che restano per combattere. La popolazione ucraina che costruisce le bombe molotov, che resiste. I carri armati che entrano, che si fermano davanti ai civili, che non si fermano davanti ai civili; il suono delle sirene, degli spari, delle bombe, il pianto dei civili. Gli aiuti internazionali, la NATO, l’America, gli stati alleati, i confini…
Questi e tanti altri, sono i flash di disperazione che ci rimarranno di questi cinque giorni di guerra – nella speranza che non se ne aggiungano altri – e se riflettiamo sono immagini che già conosciamo, che ci hanno raccontato, che abbiamo letto, che ci hanno testimoniato, che abbiamo visto nei documentari, nei film, che abbiamo letto nei libri, nei romanzi, nelle testimonianze dei superstiti. Scene che, a onor del vero, vediamo ancora oggi in quelle guerre che per la distanza ci sembrano meno drammatiche e sbagliamo.
“Perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria?”, si domanda Primo Levi. Era una domanda retorica, lui aveva capito una verità terribile: abbiamo la memoria corta, questo è ormai un dato di fatto, ma ce ne dimenticheremo ancora e sempre.
Redazione La Pagina