Siamo in procinto di celebrare l’8 marzo, la giornata dedicata alle donne, ma quest’anno più che mai non si ha nulla da festeggiare. Quali progressi, quali opportunità, quale rispetto, quali uguaglianze possiamo annoverare in questi anni di lotte e di rivalse del genere femminile? Anzi, proprio in questi giorni in cui l’attenzione mondiale è puntata su quello che sta accadendo in Ucraina, all’invasione russa, al conflitto assurdo che si è sviluppato in questa terra, le immagini e le notizie più atroci riguardano in modo particolare le donne.
Abbiamo visto donne ucraine che cercano di scappare, di salvare i figli, di combattere, di resistere, ma sono sempre le donne che, nella bruttura del conflitto, subiscono una ulteriore tortura, quella dello stupro di guerra.
La denuncia arriva da diverse agenzie e dai corrispondenti sul posto, ma anche dall’Unicef informa come in questi giorni “tante ragazze e tante donne camminano da sole, in fuga dall’Ucraina. Queste sono le prime vittime: ci arrivano notizie di violenze di ogni genere, anche di violenze sessuali”. È il ministro degli Esteri Ucraino, Dmytro Kuleba, che accusa i soldati russi di aver compiuto stupri ai danni di donne ucraine nelle città occupate: “Quando i soldati stuprano le donne nei territori occupati – e abbiamo diversi casi – quando i soldati russi abusano delle donne nelle città ucraina, è chiaramente difficile parlare dell’efficacia della legge internazionale”.
Che nell’orrore della guerra anche violazioni di diritti inaccettabili, come lo stupro e la violenza sessuale, possano diventare la normalità, lo abbiamo già visto molte volte, con i conflitti del passato e con i conflitti più recenti, per esempio in Afghanistan: vediamo giornalmente come la condizione della donna sia fortemente peggiorata con la conquista talebana di Kabul, dove le donne e le bambine afghane – dai 12 ai 45 anni – sono state considerate bottino di guerra. Un’immagine atroce.
Sul fronte le donne non hanno un’appartenenza precisa, tutte sono donne che cercano di sfuggire da tristi realtà, sono sia ucraine che russe le donne che piangono i loro figli, i loro mariti, i padri o i fratelli mandati a combattere. Da una parte ci sono le donne in fuga sotto le bombe, costrette a lasciare le loro case per mettere in salvo se stesse e i figli piccoli; e ci sono, dall’altra parte, le donne che, manifestano contro Putin, contro la guerra andando incontro a pestaggi e arresti.
Quando non è una guerra combattuta sul fronte, è la vita difficile di tutti i giorni delle donne a metterci difronte la dura realtà che la violenza nei confronti del genere femminile sta diventando una assurda normalità. Non dobbiamo dimenticare per esempio il dilagante fenomeno del femminicidio che ogni giorno ci consegna nuove vittime, puntuale come un bollettino di guerra.
C’è poco da festeggiare l’8 di marzo, ma è un giorno che ci serve per riflettere: in questi giorni pensiamo alle donne ucraine che decidono di non lasciare l’Ucraina ma di combattere, volontariamente, per la loro causa. Pensiamo alle donne che lottano, sempre.
Redazione La Pagina