La edizione 2023 del World Economic Forum-WEF si è conclusa in questi giorni a Davos, dopo una settimana di incontri ad alto livello tra leader mondiali ed una serie di eventi collaterali il cui messaggio i media hanno diligentemente raccolto e moltiplicato sui social networks.
Il messaggio di questa 53° edizione del summit grigionese si può riassumere, come stiamo per vedere, nelle conclusioni finali di alcuni dei massimi dirigenti economici presenti.
Christiane Lagarde, la presedente della Banca Centrale Europea-BCE, ha esordito ricordando il vero problema che minaccia il bilancio della eurozona: “l’inflazione europea è eccessiva, e BCE continuerà la sua politica di rialzo dei tassi di interesse”.
Per quanto riguarda le prospettive economiche, il 2023 lascia poco spazio all’entusiasmo: “la recessione vissuta nel terzo e quarto trimestre 2022, dovrebbe estendersi anche al primo trimestre in corso. Questo non è che l’effetto”, ha proseguito la presidente di BCE, “di una crescita economica ancora debole: nel 2023 si prevede un modesto +0.5%, contro un complessivo +3.4% del 2022. Il problema è noto: l’inflazione. BCE intende ridurla al 2% in tempi brevi, con tutti gli strumenti a disposizione. Abbiamo già aumentato i tassi di interesse di 250 punti base”, ha annunciato Lagarde, “e proseguiremo sino a stabilizzare l’inflazione al 2%”.
È una missione possibile, non solo in teoria: “i dati europei sull’occupazione sono positivi”, ha commentato Lagarde: “il mercato del lavoro in Europa non è mai stato così vivace; i disoccupati sono al minimo degli ultimi 20 anni. Ora è nostro compito dirigere la ripresa occupazionale non più a beneficio dei bilanci, ma del futuro della collettività”.
In particolare, ha chiarito la dirigente di BCE, “il tessuto economico europeo deve riconvertirsi ad una transizione digitale e climaticamente responsabile, sfruttando i finanziamenti già stanziati dal governo di Bruxelles. Secondo i numeri della Commissione”, ha puntualizzato Lagarde, “nei prossimi sette anni saranno necessari 500 miliardi di dollari per diventare meno vulnerabili dalle instabilità geopolitiche mondiali”.
Tuttavia, ha aggiunto, “per raggiungere questo obiettivo è indispensabile realizzare quella Unione Europea del mercato dei capitali sulla quale BCE è al lavoro dal 2016; solo così potremo liberare i nostri finanziamenti “.
Le osservazioni di Lagarde sono state riprese da Kristalina Georgieva, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale-FMI di Washington, la banca delle 190 banche centrali sparse per il mondo: “la situazione congiunturale è meno negativa di quanto temevamo un paio di mesi fa, ma non per questo è arrivato il momento di abbassare i tassi di interesse.”
“Sarebbe tragico se le banche centrali abbandonassero prematuramente l’obiettivo di assicurare la stabilità dei prezzi; ci troveremmo costretti a tornare sui nostri passi e combattere questa battaglia per la seconda volta”, ha aggiunto Lawrence Summers, oggi professore alla Harvard Kennedy School of Government, ma già responsabile del National Economic Council-NEC, l’ufficio economico della White House di Washington, nel primo biennio della presidenza Obama, ed ideatore della strategia che ha aiutato la amministrazione statunitense ad uscire dalla crisi borsistica del 2008.
Proseguendo l’esame delle prospettive economiche, una delle priorità mondiali resta la de-carbonizzazione, la sostituzione del carbone con le energie rinnovabili.
Gli Stati Uniti lo hanno già deciso.
Tuttavia i finanziamenti milionari varati dalla presidenza Biden a sostegno dell’energia verde alimentano il timore di scatenare proprio in questo settore una guerra di sovvenzioni tra USA, Europa, e non solo.
Infatti se da un lato la corsa alla riconversione ecologica da parte delle economie sviluppate favorisce la ripresa, al medesimo tempo potrebbe discriminare le nazioni incapaci di aggiornare e “rinverdire” le proprie filiere industriali, e dunque penalizzarle, perché i loro prodotti non sarebbero più conformi ai requisiti di mercato vigenti nelle economie benestanti.
Questo porterebbe ad effetti negativi alla ripresa della congiuntura globale.
“Spero vivamente che questa corsa ai sussidi verdi decisi dai governi non scateni una corsa al ribasso”, a danno delle economie più fragili, ha osservato Lagarde.
Inoltre, questa evoluzione anticiperebbe altri problemi: perché molte nazioni potrebbero anteporre la necessità di rafforzare il bilancio statale all’integrazione climatica.
In altri termini, pur di sopravvivere, invece di investire nella de-carbonizzazione le economie emergenti sceglierebbero di produrre ad ogni costo.
Ma ancora: in mancanza di un accordo e di metodiche condivise a livello globale, la decarbonizzazione porterebbe a discriminazioni anche alle catene di approvvigionamento.
Ad esempio, l’Europa e gli Stati Uniti sono ormai prossimi alla autosufficienza nella produzione di chip di silicio, fondamentali per la digitalizzazione.
In tal modo le economie dei paesi in via di sviluppo, di cui proprio le nazioni benestanti sinora sono state i clienti principali, verrebbero abbandonate al loro destino, climatico, economico e sociale.
“Negli ultimi tre anni siamo passati da una globalizzazione guidata dal mercato a una globalizzazione alimentata dalla politica”, ha infatti ricordato Bruno Le Maire, ministro francese dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità industriale e digitale.
Anche l’allentamento delle restrizioni contro la pandemia in Cina solleva interrogativi sulle prospettive economiche 2023, leggasi: inflazione.
Una delle principali incognite infatti resta il prevedibile aumento dei costi che il risveglio economico del gigante asiatico potrebbe causare alla fattura energetica mondiale.
Una ultima osservazione: tutte le previsioni degli economisti si soffermano gli effetti ma non sulla causa delle attuali difficoltà della congiuntura internazionale.
E questa causa, ricordiamolo, ha un nome ed una precisa origine geografica: il conflitto Russia-Ucraina.
Sinché questo dossier non sarà risolto, le amministrazioni pubbliche ed il commercio internazionale non riusciranno ad avviare la resilienza economica tanto attesa a livello globale sia dai partecipanti al Forum di Davos, come anche dalla società civile dell’intero pianeta.
di Andrea Grandi