Lungo tutto il mio percorso scolastico ho incontrato sempre dei compagni che oggi definiamo bulli, o il branco che dettava le regole, con un capobranco che da solo era una persona debole ma diventava forte proprio grazie all’appoggio del gruppo.
Persino gli insegnanti, salvo eccezioni, erano attratti dal bullo, mentre chi era sensibile e perbene, veniva segnalato come soggetto bisognoso di cure, quasi fosse inadatto a stare al mondo senza un aiuto psicologico.
Qui mi soffermo sul caso di una ragazzina educata che frequentava la scuola media, che ogni giorno veniva derubata delle sue gomme, delle matite, dei quaderni e, talvolta, dei soldi da una compagna che invece non aveva la benché minima voglia di studiare e si recava a scuola solo per dare fastidio ed umiliare gli altri. Un giorno, la tranquilla ragazza – che chiamerò Angelica – stanca di essere sempre derubata del suo materiale scolastico, decise di mettere il nome scritto a penna su tutto. La poveretta credeva così di non essere più derubata e di aver risolto la questione, ma la bulla, scaltra e maliziosa più di una donna di 100 anni, escogitò il modo di vendicarsi platealmente e, alzandosi in piedi, davanti a tutti, accusò Angelica di essere una ladra e come prova svuotò sul banco il contenuto dell’astuccio e della borsa dell’ignara Angelica da dove venero fuori diverse cose delle altre compagne. L’intento era di far credere a tutte di aver scoperto la ladra della classe, ovviamente la scaltra aveva provveduto lei stessa a mettere le cose di altre nella borsa di Angelica.
Angelica aveva anche potuto vedere l’ambiente malsano dove cresceva la ragazza. Da brava e studiosa ragazzina, un giorno andò a casa della bulla, ufficialmente per studiare insieme, ma si trovò ad essere testimone dell’indecenza più totale, con la bulla che si rivolgeva alla madre con termini osceni (come “Zocc….mign…. stronz….”). La madre, per nulla offesa né infastidita dal comportamento della figlia, faceva altrettanto, stesa sul grande letto insieme a diversi cani.
Una ragazzina che chiamava la madre usando tali vocaboli come si poteva poi comportare a scuola? Con la stessa volgarità e maleducazione.
Il problema più grande a scuola era che quasi ogni compagna di classe sceglieva di far parte del branco accettandone le regole, quindi accettandone anche volgarità e maleducazione di fondo, per non venir esclusa nel peggiore dei modi subendo umiliazioni, isolamento dal contesto scolastico e vessazioni di ogni tipo.
È non accettando le dinamiche del branco che Angelica verrà sempre più isolata dalla bulla e del gruppo che faceva di tutto pur di non essere sottoposti al giudizio della bulla capobranco: chi sceglieva di far parte del branco, infatti, lo faceva spesso solo per paura di subire un suo giudizio negativo.
Chi, come Angelica, non partecipava attivamente ai dispetti e ai danneggiamenti del gruppo, era una preda a cui rendere la vita scolastica un inferno fatto di ostilità, isolamento e botte. Così Angelica ha vissuto gli anni nella scuola media allontanata dagli altri perché colpevole di non aver mai accettato la sottomissione alle regole del branco.
Quando una mattina, Angelica si rifiutò di marinare la scuola, esattamente
come aveva deciso la bulla per tutti gli altri, l’indomani si era ritrovata tutta la classe contro perché la bulla aveva inventato di essere stata presa a schiaffi dalla madre di Angelica, il giorno prima.
Tutti, anche i professori, che non sapevano delle botte, dei furti e del suo cattivo comportamento, riconobbero alla capobranco una certa supremazia, quasi fosse un suo carisma a totale svantaggio del gruppo.
Nessun professore, forse per pigrizia, fece mai sentire a disagio la ragazzina volgare che pur vedevano essere tale, anzi la prendevano per una ragazza maleducata sì, ma sveglia e sicura di sé. Le compagne più vicine al piccolo mostro erano ragazze altrettanto volgari nel modo di parlare, di vestire e di essere smaniose e desiderose di frequentare uomini adulti per avere da loro qualche soldo. La bulla, invaghita di un professore che aveva già figli grandi, non si preoccupò minimamente di minacciarlo di raccontare a tutti della loro (vera o presunta) relazione. Del resto la scuola era per lei solo un luogo per fare i suoi comodi, dove rubare articoli di cartoleria, fare dispetti e cercare uomini molto più grandi da corteggiare con gesti volgari che nemmeno le più sfacciate prostitute avrebbero usato. La scalmanata capobranco aveva la tattica giusta per risolvere tutto: piangeva per non essere interrogata, per suscitare pena, per restare sempre impunita.
La compagna truffaldina aveva atteggiamenti di sfida verso chiunque, tutto le era dovuto perché lei amava ottenere le cose ad ogni costo e con tutti i mezzi anche urlando, protestando e piangendo, al bisogno sarebbe passata sul cadavere di qualsiasi compagna pur di averla sempre vinta.
Rideva a squarciagola degli handicappati ai quali si rivolgeva come fossero degli scemi senza cervello e da cui talvolta si faceva dare soldi, altrimenti li menava di nascosto.
In questa infelice cornice, il piccolo Mostro riuscì a prendere la licenza media senza aver mai studiato un solo giorno, ma avendo solo tormentato gli altri, in alcuni casi, lasciando ferite indelebili nell’animo.
Da adulta, la capobranco, continuerà a cercare vittime.
Alessandra Hropich
Questa storia ed altre di violenza sia di piccoli che grandi mostri, si trovano in questi due libri:
Alessandra Hropich si laurea in Legge a Roma e inizia la pratica legale presso un importante Studio di Roma. Tra le prime esperienze ha lavorato nell’ambito della comunicazione delle aziende; ha svolto l’attività di Funzionario presso Autorità pubblica; ha lavorato anche nella redazione programmi Tv, oltre alle esperienze televisive più giovanili, in cui ha lavorato in video. Attualmente è redattrice di articoli, realizza interviste per diversi giornali online e scrive per alcuni dipartimenti universitari.
La scrittura ha sempre fatto parte della sua vita e in ambiti diversi, nella sua attività di autrice degli argomenti dei convegni di cui spesso è anche relatrice, nel lavoro di stesura delle proposte di legge per un Istituto Studi legislativi e nelle esperienze di comunicazione politica.
Hropich racconta: “L’amore per la scrittura nasce oltre dieci anni fa, quando l’editorialista Rossana Rossanda mi suggerì di scrivere ogni mattina i pensieri più immediati, i progetti o i desideri per evitare di dimenticare qualcosa nel corso della giornata. Da qui il mio interesse per le storie vere, come quelle dei miei libri e di interesse sociale per quanto riguarda i miei articoli. Scrivere libri o articoli a tema sociale rappresenta per me una liberazione da tutte le brutture e le cose di cui vengo, mio malgrado, a conoscenza”.