Non è rimasto inascoltato in Vaticano l’appello lanciato dal figlio di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per lapidazione con l’accusa di adulterio e presunta complicità nell’omicidio del marito, per salvare la madre.
Lo ha assicurato il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, affermando che la vicenda viene seguita “con attenzione e partecipazione”.
Il Vaticano sa bene per esperienza che in questi casi, più che appelli e gesti eclatanti, contano i fili sottili della diplomazia, e in questo senso potrebbe avviare un’azione, o addirittura averla già avviata. Tuttavia, si sottolinea tra le mura leonine, miglior garanzia di successo di questo tipo di iniziative è proprio la massima riservatezza.
Dunque, bocche cucite ed eventuali manovre top secret, mentre per Sakineh potrebbe ormai essere, a detta del figlio Sajjad Ghaderzadeh, questione di ore. Proprio lui si è rivolto, in un’estrema richiesta di aiuto, al Pontefice, e qualcuno si aspettava che questi ne accennasse all’Angelus.
Ipotesi in realtà improbabile, e infatti non avverata. Anche quando in passato il Vaticano si adoperò per far concedere la grazia ad alcuni condannati a morte, non fu mai con un gesto pubblico.
A soddisfare le domande di giornalisti e opinione pubblica è giunta però una dichiarazione di padre Federico Lombardi: “La Santa Sede – ha dichiarato – segue la vicenda di Sakineh con attenzione e partecipazione. La posizione della Chiesa, contraria alla pena di morte, è nota – ha aggiunto – e la lapidazione è una sua forma particolarmente brutale”.
“Quando la Santa Sede è richiesta in modo appropriato perché intervenga su questioni umanitarie presso autorità di altri Paesi, come è avvenuto molte volte in passato – ha affermato – essa usa farlo non in forma pubblica, ma attraverso i propri canali diplomatici”.
I rapporti tra Vaticano e Iran, del resto, viaggiano da tempo sui binari del dialogo.
Attive dal 1953, le relazioni diplomatiche non sono mai state intaccate e tra Papa Ratzinger e Ahmadinejad c’è stato anche qualche scambio epistolare.
All’inizio di quest’anno il Presidente iraniano fu tra i primi ad esprimere i suoi auguri di buon anno al Papa, auspicandogli “salute e successo” personale e “felicità e prosperità” per tutti i cristiani.
Nell’ottobre del 2009, all’insediamento dell’attuale ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, Ali Akbar Naseri, Benedetto XVI esortò a dare fiducia all’Iran, sottolineando che la grande tradizione spirituale di quel Paese è “motivo di speranza per un’apertura crescente e una collaborazione fiduciosa con la comunità internazionale”.
Numerose le richieste di grazia avanzate da Giovanni Paolo II nel corso del suo pontificato, dal Libano alle Filippine, dalla Corea del Sud agli Stati Uniti. Alcune furono ascoltate, altre no.
Tra gli altri va ricordato il caso di Kim Dae Jung, capo dell’opposizione sudcoreana, condannato a morte dal tribunale militare, scarcerato per motivi di salute e poi divenuto presidente. Fece scalpore anche la storia di Paula Cooper, una ragazza di colore americana condannata a morte per un omicidio compiuto all’età di 15 anni.
Senza successo invece l’appello di Papa Giovanni Paolo II a favore di Joseph Ò Dell,il 14 dicembre 1996, due giorni prima della data fissata per l’esecuzione, che fu rinviata, ma avvenne lo stesso, il 23 luglio 1997.
Il caso di Sakineh è diventato in poche settimane uno dei simboli della battaglia per i diritti civili contro il governo della Repubblica iraniana.
La comunità internazionale si è mobilitata a 360 gradi per salvare la donna, da oltre quattro anni nel braccio della morte.
Anche in Italia di giorno in giorno si moltiplicano gli appelli e le iniziative da parte della politica e della società civile a favore di Sakineh: “Bisogna mobilitare le coscienze e contribuire a salvare Sakineh da una sentenza brutale ed inaccettabile” si legge sul sito del Dipartimento delle Pari Opportunità.
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