Il Senato condanna la pratica della “gestazione per altri”: si rischia il carcere fino a 2 anni
In Italia la maternità surrogata è vietata già dal 2004, ma adesso riuscire ad avere un figlio con la pratica della maternità surrogata sarà ancora più difficile. Infatti lo scorso 16 ottobre il Senato ha approvato il ddl in via definitiva con 84 sì, 58 no e nessun astenuto, introducendo il divieto di praticare la maternità surrogata non solo in Italia, dove già è illegale, ma anche all’estero, nei Paesi dove invece la pratica è legittima. Questo vuol dire che quei genitori che hanno fatto affidamento a questa pratica all’estero, rischiano di essere incriminati e una pena che va dai 3 mesi ai due anni di carcere, mentre la sanzione pecuniaria potrà arrivare fino ad un milione di euro.
Cosa è la maternità surrogata
Secondo questa pratica di procreazione assistita – detta anche gestazione per altri o utero in affitto – una donna provvede alla gestazione e al parto per conto di un’altra persona, o di una coppia cui verrà affidato il nascituro. Quindi la madre “surrogata” si impegna di portare a termine una gravidanza “su commissione” di altri, secondo un preciso accordo sancito da un contratto dove è chiaro che la madre surrogata s’impegna a rinunciare agli eventuali diritti sul nascituro e a “consegnarlo” dopo la nascita. Solitamente, la madre surrogata non è la madre biologica del bambino poiché, quando possibile, si utilizzano i gameti (ovociti e spermatozoi) della coppia richiedente la surrogazione. Tuttavia può anche avvenire che si utilizzino gameti provenienti da donatori estranei ai genitori designati e alla madre surrogata, oppure si possono utilizzare gli ovuli della madre surrogata e il seme degli aspiranti genitori che richiedono la surrogazione.
Spesso la gestazione per altri viene retribuita secondo accordi prestabiliti. La madre surrogata, infatti, può ricevere un compenso economico e/o rimborso spese per portare a termine la gravidanza e rinunciare ad ogni diritto sul bambino dato alla luce, per questo motivo spesso si parla di “utero in affitto”.
Cosa prevede la norma
“Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro”, così recita la modifica dell’articolo 12 della legge 40 del 19 febbraio 2004, al comma 6. A questa, si aggiunge la parte secondo cui “se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”, per questo motivo viene detto “reato universale”. Con questa modifica i genitori che ricorrono alla maternità surrogata all’estero – visto che in Italia è vietata dal 2004 – potranno essere incriminati e finire in carcere fino a due anni e pagare una multa fino ad un milione di euro. In questo modo “vogliamo evitare che il divieto previsto in Italia venga aggirato, andando all’estero per commissionare un bambino che poi viene riconosciuto nel nostro Paese”, ha commentato il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo. Il ddl – che riprende quello presentato da Giorgia Meloni nella precedente legislatura – porta la firma della capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Giustizia della Camera, Carolina Varchi, ed era stato approvato a Montecitorio nel luglio del 2023 con 166 sì, 109 no e 4 astenuti.
Situazione in Svizzera
Nella Confederazione elvetica la maternità surrogata è vietata dalla Costituzione federale dal 1° gennaio 2001. Alla base di questa decisione c’è soprattutto l’interesse per la protezione della dignità della madre surrogata, del nascituro e del bene del bambino. In modo particolare in Svizzera pesano motivazioni etiche e legali fondamentali. Intanto mancano precise norme che regolano i diritti dei genitori, sia richiedenti che surrogati, ma anche dei bambini che nascono secondo questa pratica poiché non ci sono disposizioni che disciplinano l’adozione e la protezione del bambino stesso. Infine, anche la condizione delle donne che si prestano come madri surrogate non è altresì ben definita e non si può verificare se ricevono un’adeguata assistenza medica, psicologica e sociale e perfino un adeguato compenso.
Redazione La Pagina