Facciamo nostro il giudizio di Ernesto Galli della Loggia, intellettuale di sinistra, che sul Corriere della Sera alcuni giorni fa auspicava la fiducia al governo non tanto per i suoi meriti ma perché un governo formato e sostenuto da Bersani, D’Alema, Casini, Rutelli, Fini, Franceschini, Di Pietro e compagni, sarebbe ben peggiore. Riteniamo anche che non ci sia nulla di male ad avere un premier che sappia fare dell’umorismo, sugli altri e su di sé, come ha riconosciuto Tony Blair, il quale tra l’altro ha riconosciuto che con lui e il suo Paese il nostro presidente del Consiglio ha sempre mantenuto gli impegni presi. La storia, anche quella italiana recente, è piena di gente col muso lungo e serioso davanti alle telecamere e tutta attenta al mondo delle banche o al disprezzo per gli altri a telecamere spente. Del governo D’Alema il suo consigliere ha detto che era una “merchant bank” con l’unica differenza che si parlava in italiano. Sempre di D’Alema Giorgio La Malfa ha detto che non c’è nessuno che non sia stato insultato da lui.
Siamo anche convinti che tutto quello che Berlusconi dice su “certi magistrati faziosi” e sullo stato della giustizia in Italia sia vero, anche perché è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare ai processi che quando durano dieci anni è tutto oro che luccica, alle assoluzioni “per non aver commesso il fatto” che giungono dopo anni e anni di gogna mediatica, alle continue violazioni del segreto istruttorio per cui si sa che tra il magistrato e/o il personale del suo ufficio e la stampa esiste un rapporto sotterraneo di scambio d’informazioni e allo stato di disorganizzazione e di confusione che regna nei Palazzi di Giustizia (è sufficiente entrarci per rendersene conto). Però, è anche vero che a tutto c’è un limite e che esso è stato abbondantemente varcato con le barzellette con finale poco decoroso. Il ruolo impone anche un autocontrollo, specie quando si sa che c’è chi vive andando a caccia di simili ghiottonerie. Tuttavia, è sul piano politico che urge una svolta. La fiducia è stata concessa, l’invito al dialogo con Fli è stato lanciato e, sembra, anche raccolto. Va bene vigilare e richiamare gli alleati alla lealtà, ma è anche vero che più che pretendere una dichiarazione d’intenti fine a se stessa, puramente parolaia, esiste un modo molto semplice per verificarla, che è quella di lavorare su provvedimenti concreti. Ad esempio: c’è bisogno di chiedere una commissione parlamentare d’inchiesta sull’operato di “certi magistrati” e farne materia di polemica? È semplicemente inutile, anche perché, ripetiamo, la gente lo sa. E allora? Sulla giustizia dovrebbe essere finito il tempo dei proclami. Si appronti un disegno di legge organico, lo si concordi all’interno della maggioranza e poi lo si discuta in Parlamento. È vero che gl’italiani siano particolarmente abili nel violare leggi vecchie e nuove pur restando nella legalità, ma è pur sempre vero che il testo di riforma della giustizia, ad oggi, non sembra che ci sia, e su questo l’opposizione ha ragione da vendere. Si faccia come sul federalismo e sull’Università, due temi importanti, complessi e delicati, sui quali si sta arrivando al traguardo finale. Altrimenti, almeno su questo argomento, “il governo del fare” rischia più che altro di essere “il governo del dire”. Se poi non c’è l’accordo sulla materia, non si perda tempo, si faccia altro o si rimetta il mandato al popolo: se i prossimi tre anni devono essere persi invano, meglio la chiarezza delle urne.
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