Wikileaks lancia un nuovo guanto di sfida alla politica estera degli Stati Uniti: il conflitto in Iraq è stato un bagno di sangue, con oltre 66 mila civili uccisi, e i militari americani hanno chiuso gli occhi di fronte a torture ed eccidi commessi dall’esercito iracheno, “sporcandosi le mani” direttamente con la morte di civili inermi mandati a verificare la presenza di mine sulle strade o sparando a insorti che si erano arresi.
Julian Assange, giornalista e attivista australiano collaboratore di Wikileaks, non ha usato mezzi termini, nella conferenza stampa a Londra che ha accompagnato la pubblicazione dei quasi 400 mila file segreti sulla guerra in Iraq, che vanno dal gennaio 2004 alla fine del 2009, anticipati dalla televisione panaraba Al Jazira, che ha rotto per prima l’embargo, e a cui hanno fatto seguito altri media tra cui il New York Times, il Guardian, Der Speigel, Le Monde, la tv svedese Svt e il Bureau for Investigative Journalism britannico.
Dai file emerge che giorno dopo giorno l’esercito americano ha tenuto un registro delle vittime civili della guerra in Iraq, ma questo registro fino a oggi è rimasto segreto, come ha sottolineato John Sloboda di Iraq Body Count, una delle organizzazioni partner di Wikileaks nella pubblicazione dei documenti sulla guerra.
Oltre 109 mila i morti, tra i quali 66 mila civili. E di 15 mila di questi non si sapeva nulla sino ad oggi. Ma per Body Count i morti sono ancora di più: incrociando gli ultimi dati con l’archivio dell’organizzazione si arriva a 150 mila, di cui l’80% civili inermi. Dati questi confermati sostanzialmente da Baghdad: “I documenti non sono stati una sorpresa per noi, perché avevamo già riferito più volte di alcuni fatti menzionati, compreso ciò che è avvenuto ad Abu Ghraib, così come di altri casi nei quali sono coinvolte le forze americane”, ha detto il portavoce del ministero dei Diritti umani, Kamel al Amin. “Questa cifra, 109 mila vittime fra fine 2003 e il 2009, è vicina a quella annunciata dal ministero della Sanità iracheno”, ha aggiunto.
E i file di Wikileaks serviranno agli avvocati che difendono i diritti umani per aprire azioni legali in Gran Bretagna, ha detto a Londra il rappresentante dell’organizzazione Public Interest Lawyers Phil Shiner nella conferenza stampa: “I torturatori saranno individuati e perseguiti, abbiamo verificato la violazione dei diritti umani in numerosi casi. Ci sono abusi di ogni tipo, e i prigionieri venivano costretti a dire una verità già scritta. Vogliamo aprire le inchieste, sulla base delle modalità di interrogatorio che abbiamo scoperto”.
Una inchiesta si potrebbe aprire anche a Washington: Assange ha reso noto che l’inviato speciale dell’Onu sulla tortura, Manfred Nowak, ha chiesto al presidente degli Stati Uniti Barack Obama di aprire una indagine sui casi di abuso che, dice Wikileaks, sono almeno 300 dopo l’aprile 2004 quando scoppiò lo scandalo di Abu Ghraib. “Vogliamo correggere gli attacchi alla verità”, ha detto Assange, convinto che i democratici americani “farebbero bene” a usare la documentazione per “incalzare” i repubblicani a una settimana dal voto di mid-term, perché i file, che verranno distribuiti a ong e istituzioni accademiche, “dimostrano gli abusi e l’orrore” della guerra durante l’amministrazione repubblicana di George W. Bush. Sull’australiano piovono intanto le durissime critiche della Difesa Usa: “Deploriamo Wikileaks perché induce individui a violare la legge, e condivide le informazioni con il mondo, compresi i nostri nemici”, ha detto il portavoce del Pentagono, Geoff Morrell. “Wikileaks continua a mettere in pericolo la vita delle nostre truppe, di quelle della coalizione, degli iracheni e degli afghani che lavorano con noi”. Un concetto condiviso anche dalla Difesa britannica, che condanna la pubblicazione e assicura: “Può rappresentare un rischio per la vita delle truppe britanniche e dei nostri alleati e rendere più difficile e più pericolosa la missione delle forze armate nei teatri di operazioni”.
Ma non è finita qui: Wikileaks conferma che presto pubblicherà i 15 mila documenti del Diario afghano rimasti nel cassetto. C’è solo da attendere.
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