Fini perde lo scontro all’ultimo sangue contro Berlusconi
Alla fine, conta doveva essere e conta è stata, con un vincitore (Berlusconi) e un vinto (Fini). IL governo e il suo premier hanno avuto la fiducia sia al Senato, con 162 voti a favore e 135 contro, e sia alla Camera, con 314 a favore, 311 contro e due astenuti. Maggioranza risicata, ma maggioranza autonoma che può fare a meno di colui che negli ultimi otto mesi e mezzo l’ha destabilizzata.
Ma vediamo come si è arrivati alla rottura tra i due cofondatori del Pdl e quali sono ora le prospettive.
All’indomani della vittoria del centrodestra alle regionali (29 marzo 2010), il governo si stava avviando verso la seconda metà della legislatura per dare un colpo di acceleratore sulle riforme e invece da parte di Fini inizia un crescendo di critiche al governo e al premier, al punto che il presidente della Camera più che un cofondatore e il rappresentante della terza carica dello Stato sembra il capo dell’opposizione. All’Assemblea nazionale del Pdl di luglio avviene lo scontro aperto, con Fini che dichiara che ci sono due destre e che lui ha una visione politica e programmatica diversa da quella del premier. Per un paio di mesi i sostenitori dell’uno e dell’altro si danno da fare per cercare un avvicinamento e un chiarimento, ma le loro strade divergono, anche perché da una parte Fini accentua le differenze e rivolge al governo e al premier critiche incompatibili con una convivenza tra di due nello stesso partito, dall’altra i suoi sostenitori bloccano le iniziative del governo.
E infatti, nel mese di agosto, i finiani si organizzano in gruppi parlamentari distinti dal Pdl, con la richiesta di un riconoscimento di Fli come terza gamba della maggioranza e una verifica in Parlamento sul programma.
L’appuntamento è fissato il 29 settembre, quando sui cinque punti programmatici si trova l’accordo e si vota la fiducia. Di fatto Fli viene riconosciuta e sarà riconosciuta ancor più chiaramente nel mese di novembre. Ma evidentemente non era questo il motivo della contesa, tanto è vero che proprio all’indomani della fiducia riemergono più aspramente le critiche e i contrasti. In sostanza, Fli, che nel frattempo si è alleato con l’Udc e con Api (l’Alleanza per l’Italia di Rutelli, che mesi prima aveva abbandonato il Pd), vuole una svolta politica e programmatica che si può racchiudere nei punti seguenti: dimissioni di Berlusconi, allargamento della maggioranza all’Udc e ad Api e ridiscussione sia del nome del premier che del rapporto con la Lega. Nel caso in cui Berlusconi non acconsenta, Fli avrebbe ritirato la delegazione dal governo, cosa che è avvenuta verso metà novembre. L’obiettivo di Fli e Udc era quello di logorare Berlusconi, ottenerne le dimissioni, creare degli smottamenti dal Pdl verso Fli e farlo fuori ereditandone la forza elettorale. In vista di questo obiettivo, da mesi Fini ha blandito il Pd per farsi legittimare e anche per usarlo in funzione anti premier.
All’indomani dei contrasti rinati dopo la fiducia del 29 settembre, il premier capisce le mire di Fini e Casini, anche perché qualcuno gli ricorda la frase mai smentita da Fini che, parlando con i suoi nel mese di aprile, disse che non avrebbe avuto pace fino a quando non avesse “liberato l’Italia da un simile individuo”. Avendo chiari gli scopi di Fini e Casini (Rutelli è sempre stato a rimorchio perché con due parlamentari non conta nulla), rifiuta le loro richieste di dimissioni e dichiara che se Fini lo vuole sfiduciare, lo deve fare in Parlamento davanti a tutti gli italiani che lo hanno votato sotto il simbolo del Pdl e di Berlusconi presidente del Consiglio. A questo punto il crescendo di contrasti, di mosse e contromosse si fa durissimo. Fini ritira la delegazione dal governo e annuncia la sfiducia se Berlusconi non si dimette. Il presidente della Camera punta sulle defezioni, Berlusconi punta sulla fiducia tradita. Ogni tentativo delle colombe del Pdl e di Fli fallisce, fino a quello della sera prima.
Si va alla conta e vince Berlusconi, anche perché mentre i suoi sostenitori si sono rivelati compatti, all’ultimo momento il fronte finiano ha ceduto perché Catone, Polidori, Siliquini e Moffa non se la sono sentita di ribaltare la maggioranza uscita vittoriosa dalle elezioni (Moffa non ha votato) e di fare un regalo alla sinistra. Due deputati dell’Idv, Scilipoti e Razzi, hanno votato a favore della fiducia. Ed ora? Probabilmente qualcuno di Fli rientrerà nella maggioranza, ora per 3 voti, alla Camera, ma pur sempre autonoma e indipendente dai voti di Fli e delle opposizioni. Se la maggioranza non si rafforzerà, è possibile che il premier fra qualche mese chiederà al capo dello Stato di sciogliere le Camere e di far pronunciare il popolo. Se ciò si verificherà, lo potrà fare da una posizione di forza, non di debolezza. Comunque tenterà la via del rafforzamento e della stabilità.
Davanti a tutti, infatti, è apparso chiaro che la terza carica dello Stato da ruolo imparziale ha assunto posizioni di parte e soprattutto ha creato instabilità e paralisi, fino a sfiorare una prospettiva pericolosa a causa degli assalti della speculazione internazionale. Intanto, però, la fiducia concessa al governo avrà due risultati più o meno immediati: la riforma dell’Università, da molti giudicata una buona riforma, e il completamento del federalismo fiscale, che necessita ancora di qualche decreto del governo per essere legge dello Stato. Non è poco per ripartire, dopo mesi di stallo.