Un mese e mezzo (il “circa” è d’obbligo): questo è il periodo che dalla maggioranza uscita vittoriosa dal voto di fiducia del 14 dicembre scorso è stato fissato per capire dove si andrà. Il termine, più o meno, sarà metà febbraio.
Non ci sono molte alternative: o si riuscirà a governare senza mendicare di volta in volta voti alla Camera o si andrà alle elezioni anticipate. Questa volta il governo cosiddetto tecnico non è più nella logica delle cose, è stato spazzato dalla sconfitta di coloro che avevano chiesto a gran voce l’uscita di scena di Berlusconi, camuffandola sotto forma di richiesta di dimissioni del premier come passaggio necessario per formare una nuova maggioranza allargata all’Udc, a Fli e a Api, il terzo polo.
Vediamo quali sono le ipotesi di prospettiva nella maggioranza e nelle opposizioni. Berlusconi dice che il voto di fiducia rinnovatogli da Camera e Senato è uno “spartiacque della democrazia” a favore di un governo sostenuto dal popolo. Forte di questo risultato, che è la sconfitta soprattutto di Fini, il premier è sicuro che altri deputati di Fli rientreranno nel Pdl per rafforzare la maggioranza. Inoltre, pensa che qualche altro ancora, dall’Udc o addirittura dal Pd, possano fare il salto. Di almeno otto sarebbe sicuro. Il che, a giudizio del premier, darebbe stabilità e sicurezza al governo e nello stesso tempo darebbe forza ad un’ipotesi più ambiziosa e strategica: riunire tutti i moderati e i riformisti del centrodestra per spazzare via ogni ipotesi di terzo polo che preluderebbe solo a un Parlamento di trasformisti.
Questa tesi è sostenuta dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi con queste ragioni: “Nelle prossime settimane verificheremo se sarà possibile sul piano parlamentare trovare delle convergenze. Si comincia dalla riforma dell’Università, entro Natale confido si raggiunga un accordo per Mirafiori, alla ripresa la legge sul fine vita andrà in Parlamento, sul federalismo fiscale siamo alle battute finali. Sono cose imminenti e le potremo vivere non solo come ricerca contingente di maggioranze più ampie, ma anche come occasioni per verificare la possibilità di quel progetto ambizioso descritto da Berlusconi nel suo discorso in Parlamento: costruire l’unità politica dei moderati e dei riformisti”. Secondo Sacconi, Casini dovrebbe fare una scelta, così come Fini dovrebbe fare una “riflessione di fondo”.
Dal canto suo, Bossi insiste per le elezioni anticipate. Egli ritiene Casini e l’Udc un interlocutore “inaffidabile”. Ecco ciò che pensa la Lega: “Starei attento a portare nel governo l’Udc, quelli lo vogliono morto (si riferisce a Berlusconi, ndr). E poi l’Udc al governo il premier l’ha già provata: c’era Follini, mamma mia, non riuscivamo a fare niente”. In conclusione, Bossi è attento all’evoluzione e al rafforzamento, ma ci crede poco e dice che è meglio andare subito alle elezioni.
Il terzo polo, all’indomani della sconfitta, si è riunito per dare l’immagine di un polo che guarda al futuro, ma in realtà le crepe sono evidenti e destinate ad allargarsi. Casini ripete a squarciagola che loro non vogliono andare con la sinistra e che il perimetro è il centrodestra, ma i contrasti tra l’ala dura di Fli e il Pdl di Berlusconi sembra insanabile, né si vede come si possa far finta che nulla sia successo. D’altra parte, presto si andrà a discutere la legge sul fine vita: tra l’Udc e Fli le posizioni sono contrastanti, come lo sono tra Fli e il Pd, almeno a giudicare dalle dichiarazioni ufficiali che parlano di aree opposte, al massimo unite dall’antiberlusconismo, che però non sembra portare da nessuna parte. A proposito del terzo polo, cosa farà esattamente Casini? Rimarrà rinchiuso nel piccolo angolo del polo di centro o vorrà abbandonarlo per aderire all’unità politica dei moderati propugnata da Berlusconi? La risposta non è scontata, al di là delle dichiarazioni ufficiali che sanno di tattica.
Nel centrosinistra assistiamo ad una “sofferenza”. Di Pietro, intuito che potrebbe essere isolato, dopo la sconfitta ha proposto a Bersani e a Vendola un “matrimonio”, che Vendola sarebbe ben felice di celebrare. Bersani, però, sa che per andare al governo non può fare a meno del terzo polo, centrista e moderato. Con un’alleanza con Di Pietro e Vendola sa che i cattolici, già in grande sofferenza e sul piede di partenza, lo mollerebbero, per cui al massimo farebbe un’alleanza di sinistra e minoritaria.
Casini gliel’ha detto pubblicamente e ad alta voce: “Mai con Di Pietro e Vendola”. D’altra parte, Bersani sa anche che se molla Vendola e Di Pietro una larga fetta del partito, nemica di Berlusconi, giustizialista e radicale, rischia di ritrovarsi con un partito ridotto al lumicino, succube di Fini, Casini e Rutelli, tre “maneggioni” che lo sbranerebbero. Ecco perché alla fine non riesce a prendere posizioni nette. Probabilmente, nelle prossime settimane, nel Pd si assisterà ad un dibattito molto acceso, perché non può continuare a rimanere paralizzato a vita, in nome di un’identità che, al momento attuale, non si sa bene cosa sia.
Non c’è dubbio che la fiducia a Berlusconi abbia riportato un periodo di tregua. Finita la tregua, però, è evidente che delle decisioni si impongono e tutti saranno chiamati a fare delle scelte più chiare.
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