Come aveva previsto Maurizio Sacconi in un’intervista al Corriere della Sera, all’indomani del voto di fiducia al governo il 14 dicembre, entro Natale è stata approvata definitivamente la riforma dell’Università che, al di là delle contestazioni di piazza più o meno sobillate, ha posto fine allo strapotere dei rettori a vita e al nepotismo nelle Università italiane ed ha introdotto il merito sia con la valutazione dei risultati scientifici e didattici del personale per avere diritto ad una quota di finanziamenti e sia con la maggiore serietà degli studi.
Ovviamente, i risultati non si vedranno nell’immediato, ma la svolta, da molti riconosciuta ed apprezzata, è tale che ha fatto dire che il ’68 è terminato. Maurizio Sacconi aveva anche auspicato la firma dell’accordo a Mirafiori tra Sindacati e Fiat e questa firma c’è stata, seppure a firmare siano stati tutti gli altri Sindacati tranne la Fiom, come del resto accadde per Pomigliano.
Dagli esperti le nuove relazioni industriali, all’insegna della maggiore produttività, degli aumenti salariali e degli investimenti per creare occupazione sono state giudicate positivamente perché privilegiano il lavoro e la crescita e cercano (cercano) di mettere fine a quell’andazzo sintetizzabile nell’assenteismo e negli scioperi selvaggi. Come fece scuola Pomigliano, così farà scuola Mirafiori. In Italia, insomma, una industria non può lavorare in perdita in nome della cosiddetta “democrazia in fabbrtica”. Democrazia sì, ma in fabbrica innanzitutto si lavora per produrre, per guadagnare, per investire, per creare nuova occupazione ed essere competitivi sul mercato e far girare l’economia.
Come è evidente che la Fiom fa battaglie di retroguardia, così anche il Pd si è sostanzialmente diviso tra chi appoggia la Fiom e le sue rivendicazioni massimalistiche e chi, invece, cerca di guardare avanti.
C’è però un’altra leggina che è stata approvata con il sostegno di tutti, ed è quella legge che favorisce il rientro dei talenti under 40 con una serie di misure che vanno dalla riduzione fiscale alle semplificazioni burocratiche e procedurali estendibili ad attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa.
Ma a livello politico la situazione è ancora in sospeso. Negli ultimi giorni sta crescendo l’insoddisfazione di Bossi, il quale dice: “O la maggioranza si allarga davvero con un progetto politico o allora è meglio andare a votare”.
Da parte sua, Berlusconi sostiene che l’allargamento c’è: si tratta di un gruppo di 6-8 deputati che starebbero per abbandonare sia Fli che l’Udc e che uscirebbero allo scoperto fra non molto. Abbiamo messo al condizionale perché in questi casi è meglio attendere.
Il premier, comunque, insiste sulla stabilità, che è quella che garantisce una continuità di governo e di gestione dell’economia. Pare, però, che ci sia una differenza di vedute tra lui e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, il quale, in sostanza, dice che va bene la riduzione delle tasse e l’introduzione del quoziente familiare (che vuol dire pagare le tasse in base ad un cumulo o ad una compensazione tra chi lavora e non lavora in una famiglia considerando anche il numero dei figli minori a carico), ma ciò si può fare solo se c’è la copertura dei costi di queste riforme, che vuol dire circa 10 miliardi di euro.
La discussione, come si può immaginare, sarà destinata a diventare più calda nelle prossime settimane e probabilmente entrerà nel merito solo a condizione che la maggioranza sarà davvero allargata e compatta su un progetto politico di rilancio della legislatura.
Sul fronte delle opposizioni, ci sono degli scontri duri all’interno sia del Pd che dell’Idv. Il problema del Pd è che non riesce a dare respiro a nessun progetto: né a quello di un’alleanza con il terzo polo, né a quello di un’alleanza con Sel e Idv. Il terzo polo, a giudizio di Casini, non intende allearsi con il Pd fino a quando quest’ultimo guarda alla sinistra radicale di Vendola e di Rifondazione e all’alleanza con Di Pietro.
Questo lo dice Casini, ma Fini, a nome di Fli, dichiara che il perimetro della sua area politica è comunque quello della destra. D’altra parte, un gruppo di parlamentari ex Margherita ha ufficializzato l’imbarazzo di dover convivere in un partito che guarda a sinistra. Insomma, non se ne esce.
All’interno dell’Idv, la leadership di Di Pietro comincia ad essere messa in discussione. Alcuni suoi autorevoli sostenitori, come il gruppo che fa riferimento a Micromega, gli rimproverano di predicare bene sul moralismo e il giustizialismo e di razzolare male con la tolleranza a diversi livelli nel potere locale del partito di gente di “mentalità mastelliana”. Uno dei suoi critici è l’ex pm di Catanzaro, De Magistris, il quale, però, è a sua volta indagato, seppur per un reato d’ufficio. Come si vede, nell’Idv, il giustizialismo spinto rischia di divorare i suoi stessi dirigenti in una corsa folle a chi è più giustizialista dell’altro. Come diceva Nenni, c’è sempre uno più puro che ti epura.
La non credibilità delle opposizioni come alternativa di governo giocano a favore di Berlusconi, il quale, scaduto il termine di un mese e mezzo (febbraio) dovrà pur dare contenuto all’azione del suo governo, altrimenti dovrà arrendersi alle insistenze di Bossi, cioè alle elezioni anticipate, ma questa via sarebbe oltremodo dannosa per i conti del Paese.
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