La “rivolta del pane”, partita in Algeria, si è compiuta in Tunisia. In pochi giorni, la diffusione delle proteste in tutto il Paese ha creato un clima da resa dei conti e il presidente Ben Ali, alla fine, ha capitolato fuggendo all’estero, in Arabia Saudita. È finito così un regime iniziato nel 1987 con la messa da parte per “via medica” del vecchio Burghiba, il fondatore della nuova Tunisia (troppo vecchio e malandato fisicamente). Adesso è ancora presto per capire quale sarà il vero sbocco della “rivoluzione”. Il capo del governo, Mohamed Ghannouchi, ha dichiarato la dissoluzione del governo e ha promesso nuove elezioni democratiche entro giugno. Ma il giorno dopo ha dovuto cedere il passo al presidente del Parlamento. È difficile dunque prevedere se il nuovo primo ministro riuscirà a traghettare la Tunisia verso la democrazia. Tante sono le incognite. La prima è cosa farà l’esercito; la seconda è cosa farà la polizia; la terza è se a prevalere sarà un uomo forte del vecchio regime o se ci sarà una democrazia non di facciata ma reale. Intanto, le violenze non si sono fermate, anzi, sono aumentate, con spari, incendi, carceri in fiamme, prigionieri in fuga, espropri. Insomma, la Tunisia sembra essere diventata una polveriera. Il regime di Ben Ali in Tunisia, allo stesso modo di quello di Gheddafi in Libia, seppure senza le forme esaltate e satrapesche di quest’ultimo, e di quello di Mubarack in Egitto, sono stati sempre guardati dalla sponda Nord del Mediterraneo con un misto di scetticismo e di realismo. Il carattere sostanzialmente illiberale di questi regimi, che si basano sull’uomo forte del momento, momento che però dura vari anni se non decenni, aliena le simpatie degli europei. Mubarack governa l’Egitto da 30 anni circa ed è succeduto a Sadat, assassinato dai fanatici islamici. Gheddafi regna in Libia da una vita e il suo successore è già deciso, a meno che non succeda in Libia quello che è accaduto in Tunisia. Se nessuno sconvolgimento ci sarà, la dittatura semplice in Libia diventerà una dittatura monarchica, con suo figlio già designato al trono del Paese. Ben Ali regnava, come detto, dal 1987, cioè da 23 anni. Si tratta di regimi illiberali che si basano sul controllo dei cittadini attraverso la presenza capillare, onnipresente e onnipotente della polizia, ma poggiano anche e soprattutto sul potere politico ed economico dei clan al potere, con pochi ricchi nababbi e innumerevoli poveri. Diciamo la verità, tra i tre Paesi solo la Tunisia – 10 milioni e mezzo di abitanti su un territorio non esteso come gli altri Paesi del Nord Africa – non ha grandi risorse del sottosuolo. Gli altri, specie l’Algeria, sono molto più ricchi. Vogliamo dire che Ben Ali, pur governando tra disuguaglianze e corruzione, non era proprio il primo dei dittatori e il più crudele. L’abbiamo visto in occasione dell’escalation della protesta. Per bloccarla, prima ha silurato il ministro degli Interni, poi ha promesso che non si sarebbe ricandidato alle elezioni del 2014 e poi ancora, e contemporaneamente, ha promesso la diminuzione dei prezzi dei generi alimentari. Ma soprattutto ha cercato di fermare la polizia che sparava sulla folla dei giovani che manifestavano. In sostanza – e passiamo al realismo con cui gli europei e gli occidentali in genere hanno tollerato questi regimi – i Paesi del Nord Africa sono abitati da arabi che, ad eccezione di una piccola parte della popolazione, non sono fanatici. Mubarack, Gheddafi e Ben Ali sono musulmani, ma moderati e soprattutto laici, perfino socialisteggianti, se non altro a parole. Nel caso di Ben Ali, in maniera più marcata che in altri (e l’ordine alla polizia di non sparare ne è la prova), il fatto di essere laico e con una verniciatura di socialismo misto a nazionalismo, ha giocato molto nel giudizio degli europei. Insomma, la loro laicità ha rappresentato da una parte un argine allo spirito teocratico che regna in molti, se non in tutti, i regimi musulmani; dall’altra sono stati gli interlocutori più aperti verso l’Occidente e in particolare verso l’Europa. Si può aggiungere ancora che è sempre stato interesse dell’Italia avere buoni rapporti di vicinanza e di scambi economici con questi regimi e i loro uomini. Lo si è visto con Gheddafi: per quanto sia personaggio bizzarro, si è rivelato l’uomo con cui l’Italia ha fatto accordi per raffreddare i flussi di clandestini provenienti in massa dal cuore dell’Africa e anche in parte dai Paesi del Sud del Mediterraneo. Ma i Paesi laici sono giustamente anche quelli più sensibili alla democrazia e in suo nome, e all’insegna della giustizia e dell’uguaglianza, è auspicabile che gli sconvolgimenti non si risolvano nel potere di uomini forti e di altri periodi di dittatura, specie se dietro c’è Al Qaeda. Si dice che la “rivoluzione” possa giungere sia in Libia che in Egitto. Non sappiamo se ciò si verificherà, ma in caso affermativo è più probabile che avvenga in Egitto e non in Libia, più piccola e più sotto controllo. In Egitto, è già iniziata la lotta per la successione di Mubarack e a contenderla ci sarà l’ex membro dell’Aiea, El Baradei il quale, per la sua esperienza e la sua attività all’interno dell’Onu, potrebbe portare una ventata di democrazia in un Paese cruciale come l’Egitto e senza un passaggio traumatico. ✗[email protected]
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