I condannati sono tutti molto anziani e non potranno essere estradati perché i reati sono di tipo militare
Le rapine, semplici e a mano armata, o altri reati, anche quelli dove c’è stata violenza, se non puniti, in genere hanno un periodo di prescrizione più o meno lungo. Gli omicidi o le stragi, invece, non si prescrivono mai. La cronaca è pieni di omicidi di cui non si è mai trovato il colpevole; poi, a distanza di anni ed anni, come è avvenuto nel caso dell’omicidio del commissario Calabresi, alla luce di nuove indagini e di nuove scoperte, sono state acquisite nuove prove e magari il colpevole è stato condannato. Il caso Sofri non è l’unico. Famoso è quello noto come il delitto di VIa Poma, in cui fu trovata morta Simonetta Cesaroni e il cui processo di appello è in fase di preparazione, con un condannato in primo grado l’ex fidanzato della giovane romana, per molti anni ritenuto estraneo alla vicenda. TUtta questa premessa per dire che il tribunale di Vicenza la scorsa settimana ha emesso una condanna per fatti di sangue, che risalgono a quasi settant’anni fa, per l’esattezza a sessantasette anni fa. Siamo nel marzo del 1944, verso le fasi finali della seconda guerra mondiale. I tedeschi stanno risalendo la penisola spinti dall”avanzata degli americani intervenuti in guerra con lo sbarco in Normandia (Francia) e ad Anzio, sul litorale laziale. La Panzer-Division “Hermann Göring” è un reparto speciale che copre la ritirata dell’esercito tedesco. Nel Centro la guerra va avanti per vari mesi, poi l’esercito tedesco è costretto a cedere e a ritirarsi. Ed è a questo punto che tra la Toscana e l’Emilia, dove la guerra civile è stata particolarmente feroce, che i tedeschi si lasciano dietro una serie di stragi, avvenute in diciotto paesi, in cui morirono circa quattrocento persone, per la stragrande maggioranza civili, spesso uccisi per vendetta o rappresaglia, comunque in modo crudele e barbaro. A fine guerra, che in quelle zone non termina subito ma, come hanno ben documentato i libri di Giampaolo Pansa, continua sotto forma di odio e di vendette tra cittadini italiani e dell’una e dell’altra fazione, iniziarono i processi che non portarono a nessuna conclusione.
Le accuse di cui stiamo parlando furono archiviate, seppure provvisoriamente, perché non fu possibile l’identificazione dei responsabili. I documenti processuali in questione sono noti come “l’armadio della vergogna”, perché custoditi appunto in armadio per circa sedici anni, fino a quando nel 1960 furono tirati fuori per ulteriori indagini, anche perché di alcune di esse c’erano nomi e cognomi.
Inizia dagli anni Sessanta del secolo scorso lo studio di quei dossier l’accertamento della verità , spesso difficile, ma lentamente venuta a galla, anche grazie alla collaborazione delle autorità tedesche. In Italia si mettono insieme testimonianze varie di sopravvissuti e di parenti delle vittime e alla fine il quadro è abbastanza chiaro.
In Germania i telefoni dei presunti responsabili vengono messi sotto controllo e anche qui i risultati sono sufficienti ad individuare i responsabili di quelle stragi. Addirittura, alcuni di essi diventano accusatori di loro stessi con frasi compromettenti carpite delle intercettazioni. La settimana scorse c’è stata dunque la sentenza , con sei condannati all’ergastolo e due assolti. I sei neo ergastolani sono Alfred Lühmann, al tempo caporale e poi taglialegna, Karl Hans Georg Winkler, ufficiale poi medico primario a Norimberga, Kar Wilhelm Stark, sergente, Fritz Olberg e Ferdinand Osterhaus, sottotenenti, e Erich Köppe, tenente.
Assolti per non aver commesso il fatto Karl Friedrich Mess e Herbert Wilke, rispettivamente allora vicecomandante di plotone.
Dei condannati solo il primo ha 86 anni, tutti gli altri superano abbondantemente i novanta. Nessuno di loro andrà in prigione non solo per l’età ma soprattutto perché i reati di tipo militare non c’è estradizione ma ai familiari delle vittime, ormai, non interessa che i colpevoli vadano in prigione ma che siano stati giudicati e condannati.