Dure le opposizioni, Bersani chiede un governo di transizione. Gli amministratori dei comuni soppressi rifanno i conti e chiedono di essere ricevuti dal governo
La Cgil si avvia allo sciopero generale contro la manovra economica del governo che giudica “iniqua”: lo conferma, in un’intervista a Repubblica, il segretario del sindacato, Susanna Camusso, annunciando che “il 23 agosto ci sarà una riunione straordinaria” per “decidere la data della mobilitazione”. E la proposta sarà estesa anche a Cisl e Uil perché “a lavoratori e pensionati si chiedono sacrifici al di sopra delle proprie possibilità”. Secondo la Cgil la manovra da una parte ‘parla solo a chi le tasse le paga già”, dall’altra “i tagli agli Enti locali mettono in discussione le prestazioni ai cittadini, e in particolare ai più deboli”. “È come se questo governo, o qualche suo ministro anziché porsi il problema di come tirare fuori dai guai il Paese, approfittasse della situazione per esercitare una sorta di vendetta nei confronti di chi lo ha contrastato”.Susanna Camusso dichiara inoltre che “non c’é stato alcun trasferimento in legge dell’accordo con la confindustria sulla contrattazione e la democrazione sindacale”. “No, no e no – sottolinea – il governo ha fatto un’altra cosa: ha stravolto quell’intesa. Così vuol far saltare a pié pari il contratto nazionale. Qui c’é la volontà di qualcuno – che il segretario della Cgil individua nel ministro Sacconi – di affermare la sua tesi, secondo cui si può fare a meno del contratto nazionale”. Il segretario del Partito Democratico Bersani giudica la manovra del governo “ingiusta e dannosa” e ritiene necessario “un governo di transizione per l’emergenza”.
“Questa manovra non è in grado di rispondere ai problemi. È una manovra iniqua e inadeguata”, dichiara, indirizzando un monito alla maggioranza: “Vi indicheremo noi le cose difficili da fare, quelle che non volete fare perché colpirebbero i ‘vostri’, quelli cioè che non pagano le tasse”. “Senza fare le cose difficili che voi non volete fare questo Paese non si salverà”. Bisogna “far pagare chi evade e chi non ha ancora pagato nulla come i possessori dei grandi patrimoni immobiliari”, ha continuato, aggiungendo di avere pronto un pacchetto di emendamenti per modificare le norme presenti nel decreto del governo. “Non so se Tremonti resterà ministro dell’Economia. Francamente penso che non lo sappia nemmeno lui”, ha poi concluso commentando il nuovo quadro con le divisioni laceranti che attraversano la maggioranza. Anche D’Antoni (Pd) boccia le misure: “Un decreto iniquo, che massacra il Sud Italia, compiendo un atto di formidabile ingiustizia sociale, e condanna alla depressione le aree a maggiore potenziale di crescita, e di conseguenza l’intero paese alla stagnazione”. Si dissocia in parte l’Idv. “Finalmente il Governo – ha detto Antonio Di Pietro – ha mostrato le carte. Carte piene sia di ombre sia di luci. Vista la situazione disastrosa in cui versa il sistema economico-finanziario del nostro paese, l’Italia dei Valori ha il dovere di fare la sua parte, affrontando il provvedimento nel merito. Siamo consapevoli che non possiamo comportarci come l’asino di Buridano che, continuando a dire sempre no, alla fine è morto di fame”. Continua Di Pietro: “Almeno oggi, una cosa buona è stata fatta: il governo è finalmente passato dalle parole ai fatti, presentando la manovra prima dell’affondo del Titanic. Noi dell’IdV faremo fino in fondo il nostro dovere per evitare che la nave cali a picco”.
Un’analisi, quella dell’Idv, che non è affatto condivisa da Carmelo Briguglio (Fli): “Con tutto il rispetto per Antonio Di Pietro, le misure anti-crisi varate dal Governo sono inadeguate: tutte ombre con qualche specchietto per le allodole”. La scure della manovra colpisce anche molte province italiane, anche se delle iniziali 37 sembra che ad essere soppresse saranno solo 29. Mentre gli amministratori locali insorgono e minacciano annessioni alla Svizzera, l’opposizione insinua che ad essere state salvate con i nuovi criteri sono solo le Province leghiste. Dure le reazioni degli amministratori dei piccoli centri che rifanno i conti alla manovra del governo e denunciano “il pressapochismo dell’esecutivo”: intanto sarebbero solo 21 mila le “poltrone” che salterebbero con l’accorpamento dei piccoli comuni e non 54 mila come detto dal ministro Calderoli. Inoltre, la maggior parte di questi amministratori non percepisce alcuna indennità per il proprio lavoro pubblico. I piccoli comuni denunciano che nel 2010 e nel 2011 il governo non ha voluto accorpare elezioni e referendum, sprecando così 700 milioni di euro che avrebbero garantito, con quei soldi e ai costi attuali, 35 anni di vita per le amministrazioni dei centri minori.
L’Associazione dei piccoli comuni ha quindi chiesto di essere “urgentemente” ricevuta dal governo per confrontarsi con queste cifre. E minaccia di avviare immediate forme di protesta, compresa una manifestazione nazionale a Roma, con riconsegna delle chiavi dei municipi al governo, se tale incontro verrà negato.