Il fondatore di Wikileaks incita al boicottaggio del giornale britannico, reo di aver diffuso la password del database in un libro firmato da un suo giornalista. A questa violazione Wikileaks ha risposto con la diffusione, di tutti i 250mila cablo del Dipartimento di Stato privi di qualsiasi censura. Ma “Assange aveva già deciso di diffondere quei file”, ribadiscono al Guardian
Tutto in rete. Senza filtri. E coi nomi di collaboratori e informatori scritti nero su bianco. La saga ‘cablegate’ è dunque arrivata al suo ultimo capitolo. Wikileaks, il sito antisegreti fondato da Julian Assange, ha deciso, a quanto pare dopo un sondaggio condotto a colpi di tweets tra il milione di ‘followers’ iscritti al canale del gruppo, di pubblicare tutti i 250 mila cablogrammi in suo possesso e lasciare che sia il web a scovare gli eventuali scoop nascosti nella miriade di dispacci della diplomazia Usa. La mossa ha suscitato però le immediate critiche da parte delle quattro testate che, giusto un anno fa, avevano unito le forze per dare un senso a quel prezioso materiale. “Deploriamo la decisione di pubblicare i cablo non editati: così si può mettere a rischio la vita delle fonti”, hanno indicato Guardian, New York Times, El Pais e Der Spiegel in un comunicato congiunto.
“Difendiamo quel che abbiamo fatto in collaborazione con Wikileaks ma siamo uniti nel condannare la non necessaria pubblicazione dei dati completi”, scrivono i quattro giornali. Che concludono: “La decisione di pubblicare da parte di Julian Assange è stata sua e sua soltanto”. Adesso è quindi possibile consultare liberamente il vasto archivio di cablogrammi attraverso diversi siti che, piano piano, stanno aggiungendo i documenti ai loro indici. Già negli scorsi giorni, infatti, Wikileaks aveva avviato una poderosa operazione di rilascio di file – molti dei quali però erano stati già consultati in anteprima dagli oltre 90 media internazionali che nel corso del tempo hanno stretto una partnership con Assange. Ora la diga è saltata definitivamente. “Twittate le vostre scoperte importanti”, ha esortato l’organizzazione su Twitter. “L’intera stampa mondiale non ha sufficienti risorse ed è sostanzialmente faziosa”. Il cambio di passo – da pubblicazioni col contagocce a una piena senza freni – è maturato nello spazio di poche ore. Alla base di tutto c’é l’immancabile giallo. All’improvviso, infatti, in rete sono comparse copie integrali del ‘cablegate’ – senza cioé i nomi sbianchettati. Wikileaks ha accusato il Guardian di aver aggirato i sistemi di sicurezza dell’organizzazione pubblicando, in un libro, la password necessaria per aprire il file madre del cablegate.
File che, ribattono al quotidiano, non avrebbe mai dovuto lasciare i server di Wikileaks. Perché dunque è successo? Stando all’ex portavoce Daniel Domscheit-Berg, ormai arcinemico di Julian Assange, l’ex hacker australiano, invece di effettuare una copia del documento originale e applicare una nuova password, ha messo a disposizione del quotidiano – pare senza chiarire l’importanza del dettaglio – file e parola chiave originali. File che è poi stato distribuito in rete, non si capisce se da Domscheit-Berg stesso o da alcuni attivisti di Wikileaks, attraverso il software di condivisione BitTorrent. Morale: qualcuno negli scorsi giorni ha fatto finalmente due più due, ha aperto il documento e lo ha rimesso in circolo – con grande imbarazzo di Wikileaks. L’organizzazione si è trovata dunque di fronte al dilemma: che fare? Per decidere ha chiesto ai favorevoli di twittare #WLVoteYes e ai contrari #WLVoteNo. I sì, dice Wikileaks, hanno vinto “100 a 1”. In quanti abbiano risposto all’appello però non è chiaro. La scelta ha comunque lasciato di stucco molte associazioni – di norma favorevoli alla libera circolazione delle informazioni – come Amnesty International e Reporters Without Borders. Quest’ultima ha anche “temporaneamente” sospeso il suo sostegno all’organizzazione di Julian Assange. Il Guardian si è difeso sostenendo che le chiavi erano state presentate come temporanee, e che in ogni caso Assange aveva già intenzione di rendere pubblici tutti i documenti senza filtri ed epurazioni redazionali. Lo proverebbe, secondo un resoconto pubblicato sul Guardian da James Ball – ex attivista di Wikileaks poi passato al Guardian – un incontro tenutosi già nel novembre dello scorso anno nella residenza inglese di un sostenitore di Wikileaks, in cui Assange aveva lasciato capire che avrebbe voluto “liberare” i contenuti dei cablo.
Cosa che è adesso puntualmente accaduta, suscitando le reazioni indignate dei giornali che avevano partecipato alla campagna e che hanno parlato di gravi rischi per le persone i cui nomi venivano esposti senza precauzioni: attivisti, agenti di intelligence, informatori. Oltre a numeri di telefono e riferimenti di ogni tipo, Wikileaks ha fornito tool semplici e immediati di ricerca nell’immenso archivio. Esattamente quel che l’accordo firmato dai direttori dei giornali con Assange mirava ad evitare. Tra i cablo pubblicati ce ne sarebbero oltre mille che identificano attivisti, e migliaia “etichettati” dagli americani in modo da idenficare fonti che potrebbero essere messe in pericolo, oltre a 150 che menzionano specificamente informatori, scrive ancora il Guardian. Assange, ancora nel pieno della battaglia giudiziaria per evitare l’estradizione dalla Gran Bretagna alla Svezia dove è accusato di molestie sessuali, rischia adesso di essere messo sotto processo anche in Australia dopo che la nuova ondata di cablo ha identificato, secondo il procuratore dello Stato Robert McClelland, “almeno un componente dei servizi segreti australiani”. A pubblicare la notizia, ancora una volta, è stato il Guardian.