Per la prima volta il presidente americano è sceso nei sondaggipotrebbe incontrare molti ostacoli per ottenere il secondo mandato
Il presidente americano Barack Obama, ad un anno delle nuove elezioni presidenziali, si sta giocando la sua seconda chance. L’editorialista del New York Times, Maureen Dowd, non perde occasione per dire che è un “presidente da un solo mandato”, che la sua squadra alla Casa Bianca è pessima e che, sostanzialmente, è un uomo montato che crede di risolvere i problemi degli americani con i bei discorsi che poi non producono nulla. Il guaio per Obama non è quello che di lui pensa la Maureen, ma quello che pensano gli elettori, i quali non sono affatto con lui. È vero che i sondaggi non sono le elezioni e che sono soggetti a dare risultati diversi a seconda di chi li commissiona, ma è vero anche che tutti e tre quelli appena fatti lo danno in minoranza o, se si vuole, per la prima volta il 51% degli elettori dice no ad un suo secondo mandato. Lo sostengono solo il 44% degli americani, ma comunque ben il 73% ritiene che sta andando nella direzione sbagliata. Se così fosse, se cioè Obama non dovesse essere rieletto, spezzerebbe la tradizione di Regan, di Clinton, di Bush figlio, e sarebbe nella sola compagnia di Bush padre, l’unico da vent’anni a questa parte a non essre rieletto per la seconda volta. Sarebbe uno smacco anche perché in questi giorni, per la prima volta dopo dieci anni, si ricorda l’11 settembre con il principale protagonista, Osama Bin Laden, fatto fuori da un commando americano alcuni mesi fa. Il clima, dunque, non è dei migliori nel clan della Casa Bianca ed è per questo che il presidente sta facendo di tutto per frenare il suo arresto e per ricominciare la rimonta. Non con un bel discorso, ma con i fatti. Ancora una volta non sono le chiacchiere a mostrare una dura realtà, quella della disoccupazione al 9,1% e quella della recessione, due aspetti di una stessa medaglia il cui volto bisogna subito tentare di cambiare. Come? Recentemente, pressato dai suoi consiglieri, Obama ha deciso di dare un’inversione di tendenza alle difficoltà economiche che poi dagli Usa rimbalzano in Europa e nel mondo con un piano poderoso di 447 miliardi di dollari. Lo scopo generale è di operare degli sgravi fiscali per il ceto medio, di finanziare infrastrutture per la ripresa economica, di creare nuovi posti di lavoro nella scuola e nei cantieri. Gli obiettivi più dettagliati sono tre. Il primo è di fare in modo che nelle tasche degli americani finiscano almeno 1500 dollari all’anno in più. Respirare, insomma. Sgravi fiscali anche per i nuovi assunti dalle imprese, per un totale di circa 4000 dollari. Poi, come detto, aggredire le infrastrutture per creare nuovi posti di lavoro rifacendo ponti, strade, autostrade, eccetera. Il secondo obiettivo specifico è di evitare che i 447 miliardi di dollari si traducano in deficit, per cui soldi per la crescita sì, ma compensati da altrettanti soldi in tagli alla spesa improduttiva. Terzo obiettivo particolare è di fare in modo che la manovra sia votata anche dai repubblicani.
Ed è a questo punto che essa ha un sapore squisitamente politico e rivela l’abilità dell’attuale inquilino della Casa Bianca: coinvolgere con le buone o obtorto collo anche i suoi avversari. Obama, l’abbiamo detto agli inizi, è in una fase di debolezza perché sono molti i suoi stessi elettori – da quelli comuni a quelli che contano – che gli rinfacciano il tradimento degli impegni elettorali. In sostanza, Obama doveva essere l’uomo del miracolo e invece si è rivelato solo un uomo. Proprio per questo, sta giocando sullo stato di necessità: se i repubblicani collaborano, lo aiutano a risalire la china perché le misure adottate possono assicurare la svolta; se rifiutano di collaborare, agli occhi degli elettori fanno la figura di chi opera contro gli interessi dell’America. Fin qui il suo tentativo di portare a termine un mandato all’insegna delle difficoltà ma anche della volontà di fare il meglio per l’America e quindi di tentare di ottenere il secondo mandato. Restano, però, le difficoltà, perché non tutti pensano che la manovra riuscirà a spostare di molto la situazione ed è questa la via stretta seguita dai leader repubblicani, in particolare dai due candidati alla nomination, Mitt Romney e Rick Perry, più moderato il primo, più duro il secondo, i quali, capita l’antifona, stanno adottando la tattica elettorale, cioè dire in pubblico che i repubblicani non si sottrarranno a fare la loro parte di responsabilità per risollevare le sorti dell’economia statunitense, ma poi puntare i piedi sui provvedimenti specifici, soprattutto su quelli ostici al loro elettorato e mettere così il presidente in difficoltà. Insomma, la via è stretta davvero, perché i repubblicani dovranno concedere che si aumentino le tasse ai ricchi, i democratici, da parte loro – ed è qui il tradimento imputato ad Obama – dovranno accettare l’idea che l’assistenza e la sanità siano tagliate perché in tempi di crisi non è possibile vivere allo stesso modo di quando i tempi erano favorevoli.