Ecco cosa ci ha detto il regista sulla sua vita, la sua carriera e sul suo ultimo film “Giochi d’estate”
Ci parli della sua carriera…
I miei genitori si sono separati quando avevo 4 anni. Mio fratello gemello ed io vedevamo mio padre una domenica al mese e tre settimane all’anno per fare le vacanze insieme a Rimini in una pensioncina semplice. Ogni domenica qui a Zurigo e ogni sera a Rimini si andava al cinema. Mio padre non faceva domande, non faceva discorsi, ma ci portava al cinema. Mi sarò detto che fare cinema era l’unico modo per comunicare con lui. Ho iniziato a 18 anni, come sceneggiatore e attore. Mio fratello faceva il regista. Abbiamo fatto due fiction e un sacco di debiti. Ci sono voluti 9 anni per pagarli indietro. Poi, a 36 anni, ho realizzato il mio primo mediometraggio come regista che ha vinto a Locarno il leopardo di domani. Allora ho cominciato a crederci e non ho più mollato. Ho fatto 4 film per il cinema, due per la tv e sei cortometraggi.
Da dove è nata la passione per il cinema?
È nata guardando dei film, Cassavetes, Pasolini, Kieslowski, e rendendomi conto che era un modo per parlare della vita in modo intenso. Poi, iniziando a fare cinema ti accorgi invece quanto è difficile e la passione nasce dal voler superare le difficoltà e arrivare a esprimersi bene, cioè in modo personale e sincero, attraverso il cinema.
Lei è figlio di genitori italiani, cresciuto a Schaffhausen. Come vive lei l’italianità in Svizzera e quanta italianità c’è nei suoi film?
L’italianità per me è semplicemente non negare le mie radici. Ammettere che eravamo poveri e che c’era una certa disperazione nella mia famiglia per il bisogno di risparmiare. L’italianità sarà forse un modo di non giudicare gli altri, mentre la mentalità svizzera è molto legata al giudizio. Cerco di non giudicare i personaggi dei miei film. Ho un rapporto distanziato verso la Svizzera ma anche di fronte all’Italia. In me c’è poco di nostalgico e niente di romantico. Ma cerco di farmi ispirare dalla realtà.
Ci parli del suo ultimo film “Giochi d’estate”…
Visto le difficoltà di mettere in piedi un film d’autore oggi giorno che contano le entrate in sala, che il cinema è legato sempre di più al successo commerciale, non sai mai se il film che prepari sarà l’ultimo. Dopo la morte di mio padre mi sono chiesto quale sarebbe l’ultimo film che dovrei fare, di cosa dovrei parlare se fosse per l’ultima volta. Ed ecco la risposta: i “Giochi d’estate”. Era l’argomento che dovevo affrontare, è stata una neccessità.
Il film narra la vicenda di un ragazzo, maltrattato dal padre, che vuole insegnare alla sua amica Marie a non provare più sentimenti… Come nasce questa idea? Secondo lei, nella nostra società esistono storie di questo genere?
Io stesso ero come questo ragazzino. So molto bene di cosa parlo. La violenza famigliare oggi giorno è più attuale che mai proprio perché si inizia a non tabuizzarla più, e la legge in Svizzera da poco tempo provvede anche a difendere le vittime. Se ne parla. Nel Canton Zurigo, dove vivo, l’anno scorso la polizia è intervenuta 1.600 volte per motivi di violenza famigliare e negli ultimi due anni 2.192 persone, di cui 90% uomini, sono stati allontanati dalle loro famiglie. Le vittime molto spesso sono dei ragazzini e il fatto che il nostro protagonista dica di non provare più sentimenti, è un modo per difendersi, mentre i giochi in gran parte crudeli che fanno durante questa estate aiutano ad affrontare il trauma della violenza subita. Ma aiutano anche a scoprire l’amore.
Ha usato immagini molto forti e molto reali. Cosa prova quando vede il suo film?
Penso che sia un film sincero, essenziale e che sia abbastanza aperto e poetico da permettere al publico di riconoscere nel film qualcosa di suo, della propria esperienza di vita. Effettivamente il film è stato accolto veramante bene, in modo caloroso con lunghi applausi al Festival di Venezia, di Toronto e due giorni fa a Pusan (Corea del Sud). Sono riconoscente a chi mi ha sostenuto durante il lungo percorso, durato 4 anni, per la realizzazione di questo film. Io sono stato “il motore”, ma “la benzina” l’hanno messa gli altri: i co-sceneggiatori, i produttori, la troupe e gli attori con la loro generosità.
M.S.