Alle formazioni politiche minori mancano spesso un programma, militanti e risorse finanziarie per entrare nel parlamento nazionale
Dall’introduzione del voto proporzionale in Svizzera, nel 1918, ai partiti minori è riuscito raramente di entrare a Palazzo federale. L’elettorato svizzero si è espresso fino ad oggi con quattro elettori su cinque in favore dei quattro “pesi massimi” della politica svizzera: il Partito socialista (PS), il Partito liberale radicale (PLR), il Partito popolare democratico (PPD) e l’Unione Democratica di centro (UDC). Alle prossime elezioni federali del 23 ottobre il quadro non dovrebbe cambiare di molto. Le redini rimarranno nelle mani dei grandi partiti, cui bisogna ormai aggiungere a livello legislativo anche il Partito ecologista svizzero (PES), prossimo alla soglia del 10%, che però non ha mai ottenuto un seggio nell’esecutivo. In questa legislatura in Parlamento risiedono sette partiti minori che dispongono di 13 deputati (Consiglio nazionale) e di 3 senatori (Consiglio degli stati) su un totale di 246 seggi. Briciole. Una realtà che non fa però desistere i partiti minori a presentarsi ogni quattro anni alle elezioni federali, investendo le poche risorse finanziare e tempo, pur essendo coscienti delle possibilità quasi nulle di entrare in Parlamento. Che cosa spinge allora queste formazioni politiche a presentarsi, nonostante la missione sia quasi impossibile? “I partiti cercano visibilità. Sperano di farsi conoscere meglio in vista di altre elezioni, pensano di attirare l’attenzione dei media: condizione irrinunciabile per esistere”, dichiara il politologo Pascal Sciarini, professore di scienze politiche dell’università di Ginevra. Per altri partiti è importante presentare una lista alle elezioni federali per rafforzare la loro politica a livello locale. Chi invece vuole fare conoscere le proprie rivendicazioni politiche, si serve delle elezioni federali come rampa di lancio. Nel 2011 c’è l’esempio del Partito pirata, che chiede trasparenza e libertà su internet. Comunque la difficoltà maggiore per i piccoli partiti è nel sistema elettorale, che permette loro di strappare mandati quasi solo nei cantoni più popolosi dove ci sono a disposizione più seggi. Per Pascal Sciarini “si tratta di un problema quasi meccanico, legato al numero di seggi a disposizione nei cantoni. In quelli più piccoli i partiti minori hanno scarse possibilità, poiché si trovano confrontati a un quorum naturale difficile da raggiungere”. Soltanto due piccoli partiti sono accreditati, secondo i sondaggi, a crescere nelle prossime elezioni: i Verdi liberali (VL) e il Partito borghese Democratico (PBD), nati rispettivamente nel 2004 e nel 2008, entrambi da scissioni. I Verdi liberali (2,7% nel 2007) sono diventati forza politica in quindici cantoni e propongono un messaggio allettante soprattutto per i giovani: la difesa dell’ambiente non si raggiunge con divieti, ma sostenendo le aziende innovative nel settore delle energie rinnovabili. I sondaggi gli accreditano un 5% dei voti. Il PBD tenta la scalata alle prime elezioni federali con una politica moderata in difesa degli interessi delle piccole e medie aziende. Il 3% appare realistico, ma il futuro dipenderà dalla rielezione nel governo di Eveline Widmer-Schlumpf, che potrà offrire al partito presenza mediatica. Gli altri cinque schieramenti minori (Lega dei Ticinesi, Unione Democratica federale, Partito cristiano sociale, Sinistra e Partito evangelista) non sembrano in grado di conquistare da 1 a 3 seggi al massimo. Sostenuti da uno stabile elettorato di nicchia (temi religiosi, immigrazione), questa strategia raramente paga in mandati elettorali e non ha successo a lungo termine. L’unica eccezione è stata il PES che è riuscito a imporsi sulla scena politica, nonostante 20 anni fa, puntando alla novità ambiente, fu visto come un fenomeno passeggero.
Gaetano Scopelliti