Il discorso che il presidente degli Stati Uniti ha tenuto prima a Canberra e poi alla base militare americana di Darwin, nel nord dell’Australia, è stato subito ribattezzato il “Manifesto di Obama”. Che cosa ha detto di tanto importante da far aguzzare le orecchie ai cinesi? Ecco il passaggio chiave del suo discorso: “Chiuso un decennio segnato da due guerre sanguinose e costose, come presidente degli Stati Uniti ho preso la decisione strategica di rilanciare il ruolo americano nell’area dell’Asia Orientale e del Pacifico. Qui è il futuro: un bacino che, attraverso l’oceano, già oggi contribuisce per più del 50% all’economia mondiale. Gli Stati Uniti concentreranno qui i loro sforzi per ridefinire la regione e il suo futuro sulla base dei principi che gli sono propri e che sono sostenuti anche da alleati e amici”. Si tratta di parole chiarissime, nelle premesse e nelle strategie, che intendono rafforzare la presenza americana in quella parte del mondo e di conseguenza bloccare le mire della Cina che proprio su quella vastissima regione si affaccia. Chiuse le due guerre – Iraq e Afghanistan – la nuova èra che si è aperta, con il passaggio della Cina da Paese in via di sviluppo a Paese avviato a crescere e ad espandersi, non può non comportare la ridefinizione del ruolo degli Stati Uniti. Ad Occidente c’è l’Europa, che si dibatte tra mille contraddizioni e crisi politico-economiche, che è l’alleata di sempre. Là dove, invece, c’è bisogno dell’America è proprio in quell’area che, altrimenti, cadrebbe presto nell’orbita cinese. La Cina ha cercato, riuscendoci, sbocchi in Africa, già colonizzata a macchia di leopardo. La strategia cinese verso i Paesi africani è chiara: voi mi lasciate sfruttare le vostre risorse, io vi do una mano a svilupparvi. In realtà, la quota di sviluppo locale è poca cosa rispetto allo sfruttamento delle risorse a fini interni. La Cina deve preoccuparsi di sfamare un miliardo e quasi quattrocento milioni di persone, in gran parte a livelli settecenteschi europei, e per fare questo non guarda in faccia a nessuno: né ad altri Stati, né all’ambiente, né alle regole internazionali. Ebbene, Obama ha detto basta a queste selvagge scorrerie. Diamo uno sguardo al bacino del Pacifico: comprende la Cina, l’India, il Giappone a nord, l’Australia a sud, gli Usa a nord-est e l’America centro-meridionale a est e a sud-est. Ha ragione Obama quando dice che si tratta del 50% dell’economia mondiale, tra l’altro destinata a crescere nel futuro. Dunque, base americana a Darwin che già a metà 2012 ospiterà un contingente di marines, questi saranno poi aumentati sino a 2.500; sicurezza e difesa militare degli alleati della regione (dal Giappone all’Australia) e ruolo americano che blocca l’espansione cinese che, lasciata sola, occuperebbe e condizionerebbe tutti i Paesi del bacino. Il “Manifesto” ha anche altri scopi più defilati, ma non per questo meno importanti. Da una parte attrarre nell’orbita occidentale Paesi che ora sono sotto l’egemonia della Cina, come la Birmania e la Corea del Nord. In fondo, rafforzando l’area, gli Usa offrono una sponda a quanti in questi Paesi vogliono vivere in libertà e benessere. Dall’altra, dicono chiaramente alla Cina che ognuno è legittimato a svilupparsi e cercare nuovi mercati, ma tutto questo non può avvenire calpestando le leggi internazionali (contraffazioni, diritti individuali e collettivi, rispetto della reciprocità negli scambi, regole di mercato, rispetto dell’ambiente). E i cinesi? I giornali di partito, cioè tutta la stampa, grida all’accerchiamento Usa, i capi politici fanno buon viso a cattivo gioco dicendo che tra Usa e Australia c’è una tradizione di amicizia. In realtà, i cinesi hanno accusato il colpo. Hanno capito che non possono continuare a fare tutto quello che vogliono e in fondo era tempo che qualcuno glielo facesse capire. [email protected]