All’inizio erano stati condannati rispettivamente a 16 e 14 anni di reclusione
Erika De Nardo, la ragazza di Novi Ligure, oggi 27enne, che il 21 febbraio 2001 insieme all’allora fidanzatino, Omar Favaro, uccise a coltellate la madre e il fratellino, ha lasciato la comunità Exodus nel Bresciano, dove si trovava da alcuni mesi, ed è tornata in libertà. Condannata a 16 anni per duplice omicidio volontario aggravato, ha scontato la pena prima nel carcere minorile Beccaria di Milano e poi in quello di Verziano, alle porte di Brescia. Quella che 10 anni fa si presentò agli occhi degli inquirenti giunti nella villetta di Novi Ligure fu una scena raccapricciante, “un delitto di una ferocia senza limiti e senza senso”, come ebbe a dichiarare il procuratore di Alessandria, Carlo Carlesi, nel descriverlo. E non si sapeva ancora del depistaggio sapientemente messo in atto dai veri responsabili di quell’atroce delitto, Erika ed Omar, che indicarono in dei “rapinatori, probabilmente albanesi che non esitano ad ammazzare”, i responsabili della morte di Susy Cassini, 41 anni, e di suo figlio Gianluca, 11. A raccontare come sarebbero andate le cose la stessa Erika, al tempo sedicenne, l’unica ad uscire indenne, secondo il suo racconto, dal tentativo di rapina che in realtà aveva solo inscenato subito dopo aver ucciso a coltellate la madre e il fratellino. Quando i carabinieri entrarono nella villetta a schiera trovarono sangue ovunque: sul pavimento, sui mobili, sulla scala, sulle pareti. Il cadavere di Susy Cassini al piano di sotto, quello del piccolo Gianluca di sopra, nella vasca da bagno piena di acqua rossa. Uccisi con due coltelli da cucina: 40 coltellate contro di lei, 57 su di lui. “Il bimbo è stato quasi torturato”, dirà in seguito il procuratore Carlesi. Erika parlò di due uomini stranieri, uno con la barba bianca e uno più giovane. Fornì anche l’identikit e riconobbe la foto segnaletica di un ragazzo albanese che, però, aveva un alibi di ferro. In paese, a Novi come in tutta Italia, in molti predicarono contro gli immigrati e la criminalità che si porterebbero dietro. Sulle vetrine dei negozi spuntarono cartelli che chiedevano più sicurezza e meno stranieri. Ma due giorni dopo arrivò la svolta: non esisteva nessuna banda di extracomunitari e il cerchio si strinse contro Erika e Omar. A incastrarli le conversazioni telefoniche e quelle in una stanza piena di cimici e telecamere. La ragazza, fredda, lucida, diceva ad Omar: “Stai tranquillo, non ci prenderanno mai perché sono l’unica testimone”. Si scambiavano consigli, mimavano l’omicidio, progettavano la fuga. Dopo interrogatori lunghissimi i due cominciarono a cedere, accusandosi a vicenda. Vennero portati nel carcere minorile mentre la folla gridava: “Vergogna”.
“Mia madre ci ha sorpresi insieme, lui ha reagito come una belva e li ha uccisi”, fu la versione di Erika. “Io sono succube di lei, la subivo. Mi ha detto: ‘Se mi ami, colpiscila anche tu’, fu invece quella di Omar. Solo ad ottobre la ragazza ammise per la prima volta di aver partecipato al delitto. Premeditato, secondo la ricostruzione dei Ris di Parma. Il vero obiettivo era mamma Susy, con la quale Erika aveva un rapporto difficile anche a causa della relazione con Omar. Gianluca morì perché aveva visto tutto: i fidanzati tentarono prima di avvelenarlo con un topicida, poi di affogarlo nella vasca, infine lo accoltellarono. Il piano prevedeva di uccidere anche papà Francesco, ma Omar andò via prima che lui rientrasse dicendo a Erika: “Se vuoi fallo tu”. Erika e Omar vennero giudicati con rito abbreviato. Il 14 dicembre 2001 arrivò la condanna. Sedici anni a lei, 14 a lui. Colpevoli di duplice omicidio volontario, con le attenuanti generiche e due aggravanti: la premeditazione e, per la ragazza, l’aver “commesso il fatto contro un ascendente e contro un fratello”. Il pm aveva chiesto condanne a 20 e 16 anni. La difesa di entrambi aveva sostenuto l’incapacità di intendere e di volere e quindi la non imputabilità. Nelle motivazioni della sentenza si legge che il delitto era stato premeditato un mese prima: Erika, affetta da un disturbo di personalità, l’ha ideato. Omar non è stato un “burattino”, ma un ‘adepto, ancorché dubbioso’. Il 30 maggio 2002 la condanna venne confermata in Appello, dove quello di Novi Ligure fu descritto uno degli episodi più “drammaticamente inquietanti della storia giudiziaria d’Italia”. In assenza di “pentimento”,
Erika e Omar rimasero in cella. Il 9 aprile 2003 anche la Cassazione concordò. A gennaio del 2005 il ragazzo ebbe il permesso di lasciare il carcere per delle ore di volontariato. All’inizio del 2010 gli venne concesso di lavorare fuori dalla prigione come giardiniere in una cooperativa legata alla Caritas. A marzo dello stesso anno il suo conto con la giustizia è ormai chiuso e Omar torna in libertà: come Erika, ha uno sconto di pena di tre anni per l’indulto più altri bonus per buona condotta. I riflettori, nel corso degli anni, si sono accesi spesso su Erika. Poco tempo dopo il delitto qualcuno creò un sito internet intitolato “Erika ti amo” che più volte andò in tilt per i troppi contatti. A meno di un anno dal duplice omicidio un operaio-dj raccontò in tv di essere il suo nuovo fidanzato, fornendo dettagli sul loro “amore per lettera”. A maggio del 2006 vennero pubblicate le immagini della ragazza che, per la prima volta fuori dal carcere, giocava a pallavolo in un oratorio con altre detenute. Capelli neri, lunghi, stretti in una coda. Un’altra persona rispetto alla biondina che i carabinieri avevano portato via da casa cinque anni prima. A ottobre del 2011 Erika uscì dalla prigione per scontare la pena che le rimaneva in una comunità di accoglienza della Fondazione Exodus, creata da don Mazzi. Dal 5 dicembre è definitivamente libera. Il suo, dicono educatori e magistrati, è un recupero pieno. “Rimarrà presso la nostra comunità anche dopo – annuncia don Mazzi -. Continuerà a lavorare nel volontariato perché, come mi ha detto lei stessa, vuole continuare a capirsi”. Prima, però, passerà il Natale a casa. Con quel padre che, nonostante fosse la terza vittima designata, le è sempre stato accanto e a pochi giorni dal delitto già parlava di perdono. Perdono per quella figlia che ha visto crescere in carcere, dove è entrata adolescente per uscirne donna.
Ultimamente i due ex fidanzatini si sono attaccati a distanza con interviste a giornali e tv. Omar, che si sta rifacendo una vita con una nuova compagna, ha chiesto a Erika un incontro chiarificatore per parlare di quanto è successo nel 2001. Lei ha risposto con una lettera in cui lo accusa di cercare la popolarità, anche andando sulla tomba di sua madre e suo fratello, e lo prega di dimenticarla. E alla alla vigilia del suo ritorno in libertà Erika ha sentito il bisogno di scrivere ad Omar, protagonista negli ultimi mesi in tv e sui giornali. È questa massiccia presenza di Omar sui media che Erika non digerisce. A mandarla su tutte le furie sono state le foto di Omar sulle tombe della mamma, Susy Cassini e del fratellino Gianluca: e allora Erika ha preso carta e penna e ha scritto ad Omar una lettera pubblicata in esclusiva su QN Quotidiano Nazionale. “Si vede chiaramente quanto sei viscido e senza dignità. Usare mai madre e mio fratello per farti popolarità. Per farti dei soldi ti sei fatto fotografare al cimitero da loro, hai reso un sacco di dichiarazioni false, ma non mi stupisce da un vile come te, ma recarti al cimitero – insiste Erika – e farti fotografare è una cosa da indegno quale tu sei. Ti chiedo per l’ultima volta di smetterla di speculare sulla mia famiglia, di certo così non trovi lavoro, sempre che tu non voglia fare il Grande Fratello. Adesso basta – conclude Erika – spero che tu abbia capito che devi vivere senza continuare a legarti alla mia famiglia ma come Omar Favaro. È ora che tu spenga i riflettori su di noi”.