La Corte di appello conferma il giudizio di primo grado sul delitto di Garlasco in cui fu assassinata Chiara Poggi
E così Alberto Stasi, accusato di aver ucciso la sua fidanzata Chiara Poggi, è stato assolto per la seconda volta. I giudici non hanno creduto alle accuse nei suoi confronti. D’altra parte, la storia del processo di primo grado ha mostrato che gli inquirenti hanno seguito una sola pista, quella dell’ex fidanzato, e addosso a lui hanno cucito delle prove che poi sono risultate inconsistenti. La prima prova cucita su misura: quando il ragazzo insisteva nel dire che nell’ora in cui fu ammazzata la ragazza lui era al computer a lavorare alla tesi di laurea, non fu creduto, anche perché i carabinieri sbadatamente avevano cancellato alcuni dati. Solo in seguito, quando si riuscì a recuperare i dati, si scoprì che Alberto aveva detto la verità. La seconda prova appiccicata addosso al ragazzo furono le sequenze della scoperta del delitto e delle telefonate al 118 e ai carabinieri. Dapprima negate nei tempi e nei luoghi dove erano state fatte, risultò in un secondo momento, analizzando le celle telefoniche, che Stasi aveva detto la verità. La terza prova giustapposta fu che gli inquirenti immaginarono la corsa di Stasi da casa sua a quella di Chiara, la sua entrata nella villa e l’uccisione quasi immediata, poi il ritorno in tutta fretta. Tutto questo perché il sistema di apertura del cancello aveva registrato l’ora (9,12) in cui Chiara l’aveva azionato per far entrare l’assassino. Siccome Chiara era ritenuta assassinata da uno che la conosceva e a cui lei aveva aperto, gli inquirenti hanno puntato il dito su Alberto, che alle 9,35 di quella mattina aveva acceso il computer. Contro Alberto c’era stato il dubbio che avesse cancellato le tracce di sangue che si erano stampate sotto le sue scarpe. Quando infatti il ragazzo entrò in casa di Chiara attraverso la porta aperta, e la vide in un lago di sangue giù per le scale, ne uscì senza che sotto le scarpe fossero rimaste tracce. Ora, il dubbio era che non poteva, secondo gli inquirenti, non sporcarsi di sangue, visto che le macchie erano dappertutto.
Il perito dimostrò, però, che il ragazzo, uscendo, aveva evitato le macchie inconsciamente, e che le tracce più piccole non si erano attaccate alla suola delle scarpe per il semplice motivo che erano già secche a quell’ora (primo pomeriggio del 13 agosto). Certo, in casa, sul lavandino e sul portasapone erano state subito scoperte le tracce di Chiara e di Alberto, ma questo era normale, visto che Alberto aveva frequentato la casa. La realtà è che dopo due gradi di giudizio non è emersa la colpevolezza di Alberto Stasi e che, evidentemente, il colpevole è in libertà. C’è chi dice che questo si è verificato solo perché gli inquirenti hanno seguito una sola pista: quella dell’ex fidanzato. Un fatto è certo, in assenza di prove non si può condannare qualcuno solo perché antipatico (Stasi) o perché una bella ragazza (Amanda) ritenendo che per questo deve pagare. Una pista alternativa c’è ed è quella macchina scura che era stata notata la sera prima davanti alla casa di Chiara non solo da Alberto e Chiara, che erano in casa a mangiare una pizza, ma anche da una signora che abita nelle vicinanze e che, allarmata e impaurita, aveva chiamato il 118 credendo di telefonare ai carabinieri. Si riparte da qui, da questo dettaglio difficile da approfondire dopo quasi cinque anni. Un’altra assoluzione annunciata è quella che fra non molto vedrà alla sbarra per il processo di appello l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco. Questi, condannato a 30 anni in primo grado, in un processo che si è celebrato un paio di decenni dopo la data del delitto, perché una traccia del suo Dna era stata ritrovata sul capezzolo (morso) della ragazza uccisa, probabilmente verrà assolto in secondo grado perché altre perizie hanno mostrato che sulla maniglia della porta è stato trovato sangue non riconducibile né a Simonetta, né a Busco, dunque a qualcuno che era stato in quella stanza e che per forza di cose, ferito, aveva toccato la maniglia. Ecco, queste clamorose smentite alle tesi degli inquirenti pongono il problema della serietà delle indagini e delle indagini a tesi precostituite. Gli inquirenti dovrebbero seguire delle piste a più direzioni e con uno scrupolo che in molti processi non si è notato. cronaca@ lapagina.ch