Ad oltre otto mesi dalle prime rivolte il Paese entra in una fase cruciale
Natale di sangue in Siria, da otto mesi circa in preda alla confusione. Le “primavere arabe” in Egitto, in Tunisia e in Libia si sono concluse con un cambio di regime. In Libia c’è voluto un intervento esterno per ottenerlo. Ma le “primavere” non hanno ancora prodotto né stabilità, né ordine. In tutti e tre questi Paesi, anche se la stampa non ne parla quotidianamente, ci sono ancora manifestazioni di piazza, specie in Egitto, dove gli insorti contro Mubarack si sentono traditi e dove probabilmente a sostituire il vecchio regime ci sarà il partito islamico sostenuto e “protetto” dai militari. Ma, dicevamo, la rivolta in Siria non si sta trasformando in “primavera”, perché il regime reagisce duramente ed almeno per ora non dà veri segni di cedimento. Nello stesso tempo, non dà segni di cedimento nemmeno l’opposizione o, meglio, le opposizioni, per cui il Paese è in uno stato di guerra civile dichiarata e in atto, ma non dappertutto, e con difficoltà ad arrivare ad un esito immediato. Le repressione è stata dura in questi mesi e continuerà ad esserlo. Ormai è chiaro: non ci sarà ricomposizione più o meno pacifica, ma gli eventi saranno più lenti e più lunghi rispetto al Nord Africa. Il motivo è uno solo: La Russia non vuole che si ripeta un’altra Libia, con un intervento militare che ha portato al rafforzamento di Usa e Francia in quel Paese, ormai ridotto ad un ammasso di lamiere e rottami. Pare che il vicepresidente siriano abbia negoziato con l’omologo russo l’esilio dorato di Assad e consorte a Mosca, in cambio di un passaggio politico a suo favore nel segno della stabilità. Sono voci, ma forse c’è del vero. In ogni caso, gli osservatori ritengono che l’attuale regime possa durare ancora un paio di anni, a meno che non succeda qualcosa di grosso in tutta la regione che possa sconvolgere i pur precari equilibri esistenti.
Certo è che proprio in occasione della visita degli osservatori della Lega araba a Damasco, in due sedi dei servizi segreti ci sono state esplosioni che hanno ucciso oltre quaranta persone. Chi ha organizzato gli attentati? Qui le opinioni si dividono. Le opposizioni danno la colpa al regime e il regime alle opposizioni. D’altra parte, è normale che ci sia il gioco delle parti. Però, alla fine, il ragionamento conduce al regime stesso. Le opposizioni, proprio con la visita degli osservatori della Lega Araba, non avevano alcun interesse a creare un danno d’immagine, soprattutto a loro stesse. Ma non è solo questo. Il vero motivo è che le opposizioni non potevano essere in grado di perforare vari stadi di sicurezza, non ne avevano le possibilità, né i mezzi. Il cuore del regime è ancora impenetrabile. Il regime, invece, aveva tutto l’interesse ad organizzare quella strage. Il primo motivo è che con un attacco ai servizi segreti, quindi con un’evidente ruolo di vittima, poteva dire agli osservatori esterni: guardate, non siamo noi che destabilizziamo la Siria, sono gli oppositori che ne minano la sicurezza. Dunque, il regime attuale deve essere giustificato e sostenuto. Il secondo motivo è che solo i servizi segreti stessi potevano arrivare ad organizzare un’azione di quelle proporzioni. È chiaro che dare la colpa ad Al Qaeda contiene un altro messaggio rivolto all’interno e all’esterno, che suona così: guardate che se destabilizzate il Paese, verranno i fondamentalisti che riporteranno la Siria all’epoca della legge coranica. Dunque, due piccioni con una fava. Ma il gioco è troppo scoperto per avere un qualche effetto.Ecco l’opinione di Marvin Cetron, autore del “Rapporto 2000” sul terrorismo internazionale: “Tra un anno o due l’Iran dovrebbe essere in grado di produrre l’atomica e dei missili con cui minacciare il Medio Oriente e l’Europa. A quel punto, a meno che Teheran non faccia marcia indietro, una coalizione più o meno pubblica o Israele da solo attaccherà le basi e gli impianti iraniani sotterranei, mi pare 26 in tutto, dove si trovano queste armi. Sarebbe un’operazione gigantesca, una pioggia di missili capaci di penetrare a grandi profondità. Con il regime iraniano crollerebbe anche quello siriano. Ma auguriamoci che non si attui questo scenario, e che i due regimi cadano sotto le spinte interne”. È quanto dicono e pensano tutti, perché la seconda ipotesi sarebbe davvero tragica, per tutti.