Da emigrati a cittadini dell’Unione nella terra di Albione
Da Parigi a Londra ad incontrare gli amici londinesi del partito democratico. Sarò, in seguito, a Bedford, all’incontro del popolo molisano per la consueta festa di inizio anno. L’Eurostar, dopo un minuzioso controllo alla Gare du Nord, che neanche per un viaggio negli stati Uniti è così ferreo, chiara immagine di una Unione europea incompiuta, sfreccia nel verde della terra del Pas de Calais prima di entrare in quel budello interminabile detto “Tunnel della Manica” e riapparire, una mezzoretta più tardi, nella terra di Albione. Qualche riflessione sulle migliaia di lavoratori che, per più di un decennio, hanno lavorato laggiù, violentando la roccia sotto un mare perennemente in tempesta, per realizzare il sogno dei padri: unire i popoli del continente a quell’isola antica eternamente in bilico tra l’abbraccio all’Europa o l’abbandono al suono dell’onda che porta lontano verso le terre a cui approdarono Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci.
Un attimo e appare la Londra di oggi. Un groviglio di vetro e d’acciaio tra un nido di gru erette per dare i natali all’ultima torre della già leggendaria babele. Che bella, Londra. London St – Pancras, la stazione d’arrivo. L’arcata è stupenda e, trafitta – una sorpresa – dai raggi del sole, assume i colori dell’arcobaleno. È un misto dell’oggi e d’antico da sembrare un permanente presepe e museo. Mi attende Roberto, all’uscita, per dirmi che tutto è previsto per ciò che avverrà nella sera. Ci riuniamo in un pub ( ho pensato: i democratici londinesi sono, forse, un po’ matti ) tra mille vocii di giovani in cerca di un po’ d’evasione. Figurarsi i discorsi, interrotti da risa, abbracci, saluti e pinte di birra che, al solo osservarle, hai un fremito al cuore oltre che al palato.. Si parla del più e del meno.
Da Erasmus a elezioni europee. Di Renzi Matteo e di Letta, l’Enrico travolto da un leader che ha fretta. Di economia globale e lavoro. Se non sapessi chi sono:
giovani, belli, in possesso di forte entusiasmo e cultura. Per loro, lo stare in un pub londinese, al bistrot de la rue St. Martin a Paris, o all’Unter der Linden della nuova Berlino del post comunismo, al confine dello storico muro, ove, se la fortuna ti assiste, ritrovi una cave birreria con la bionda un poco attempata che delizia il tuo orecchio al canto di Lili Marleen, è un atto banale che indica un futuro già dentro di noi e nessuno si è accorto se non questi giovani e belli dell’Italia il fior fiore. Indovini, la nostra fedele lettrice, o quell’altro, che, talvolta, lui prende la penna esprimendo una critica ( giusta ) al mia dire. Non fu la serata indicata per parlare di Comites o altre facezie di noi, remoti emigrati. Notizie captate, talvolta, twittando, qua e là, nel gorgo del Web, ma per loro un di più.
A Bedford, il giorno seguente, tutt’altra realtà. Mi accolgono Luigi e il Fiore, colpito da un lutto improvviso e pur lì con la sua massiccia presenza. Una folla di vecchi emigrati attende, paziente , all’ ampio salone della chiesa italiana. Da un vita nella città, ove arrivarono, quaranta cinquanta anni addietro, assunti nelle fabbriche di mattonelle dal marrone vivace con cui si sono costruite le abitazioni prima dell’avvento del ferro cemento. Sono arrabbiati e delusi dalla dimenticanza con cui l’Italia tratta i protagonisti dell’esodo di massa del dopo guerra italiano. Meriterebbero un profondo ringraziamento per il contributo dato al riscatto del nostro paese. Gli si è tolto il diritto allo sportello consolare per i modesti disbrighi di cui hanno bisogno. Anziani e bisognosi e pur rispettosi e accoglienti nei miei confronti. Mi sento imbarazzato e commosso dell’ospitalità di Susanna, la passionaria, e della famiglia riunita per il conviviale pranzo pomeridiano. Un florilegio di nostalgia e ricordi di un tempo passato, uniti all’orgoglio per aver costruito un futuro per figli e nipoti. Apprezzo la panella, pagnotta profumata, che sa di una terra del sud, di calore, e di gioia. A sera, è una festa di popolo molisano, a cui porto un saluto assieme alle massime autorità cittadine venute a rendere omaggio ai nostri emigrati. Ritorno a Roma con negli occhi una nuova realtà, peraltro già apparsa , altrove, in tante parti d’Europa. I vessilli dei nostri emigrati e i tantissimi giovani, cittadini dell’Unione che nasce. Riflettere è pur giusto. Ma occorrerà, e al più presto, agire e osare