Al bocciodromo di Zurigo per affermare una verità storica.
Mentre scrivo ho ancora negli occhi la visione del grande salone del bocciodromo di Zurigo.
Abituato da anni a udire le urla del popolo pallonaro convenuto a sostenere le due squadre cittadine, o le martellate dei bocciofili nel tiro al bersaglio del pallino al di sopra delle loro teste, ha vissuto, il 26 gennaio scorso, la serata della commozione, del ricordo e del ringraziamento al grande statista che cercò, in alleanza con Enrico Berlinguer, di cambiare la storia dell’Italia, innovandola a esempio di un nuovo e avanzato processo democratico che prevedesse la partecipazione protagonista delle grandi masse popolari del nostro paese.
Una folta folla. L’atmosfera delle grandi occasioni.
In piedi, a dominare la scena, in due ore di lucida follia enunciativa, il grande Gero Grassi, l’uomo che si è ripromesso di indicare alla nazione il percorso ineludibile della verità perché si possa finalmente conoscere la vera storia di un assassinio e dei loro colpevoli annidati negli apparati più oscuri dei servizi segreti interni e internazionali che si opponevano, servendosi del brigatismo rosso, alla rinascita civile, politica e sociale del nostro Paese come componente decisiva della costruzione della nuova Comunità europea.
Gero Grassi, due ore senza appunti, la magia di una memoria perpetua nel raccontare la vita, tutta la vita, di Aldo Moro. Dalla Costituente, ove attirò l’attenzione dei capi storici dell’Italia liberata, affrontando il tema della persona (Persona con la P maiuscola), nella scrittura della costituzione repubblicana, come accademico all’università la Sapienza e uomo creativo nell’attività di governo sino alla morte brutale in quel tragico nove maggio del settantotto.
Gero parlava con quella sua voce roca, il prodotto delle tante sigarette quotidiane, mentre alle sue spalle scorrevano le immagini brutali di quelle giornate. Raccontava come se lui, Aldo Moro, fosse ancora e sempre presente all’eccidio del suo maestro politico e di vita.
E la folla commossa, non un grido, una interruzione, un brusio, lo squillo di un cellulare, pendeva dalle sue labbra.
Grazie, Gero, forse sarai presto ancora tra noi a darci un ulteriore e forte contributo di conoscenza storica sugli avvenimenti della nostra Patria.
Ed è d’altronde con tale spirito che, presidente e vice presidente della cooperativa Casa d’Italia di Lucerna, Ippazio Calabrese e Lucio Carraro, si sono recati al Ministero degli Esteri a difendere le ragioni di una fondazione che si è ripromessa la salvaguardia storica di un immobile che rappresenta qualcosa di importante per la nostra collettività.
Una gravosa e difficile impresa che merita di essere intrapresa e vinta.
La Casa d’Italia in Obergrundstrasse 92, a Lucerna, nasce negli anni venti- trenta, quando la comunità italiana intervenne con un contributo, allora molto gravoso, di sessantaduemila franchi svizzeri all’acquisto dell’immobile per costituire l’asilo e il dopo scuola per i propri figli.
In seguito lo Stato insediò il vice, e a seguire, il Consolato d’Italia.
La Casa d’Italia è la testimonianza della storia di oltre un secolo di emigrazione italiana e come tale appartiene alla tradizione della città di Lucerna e della Svizzera tedesca.
Grazie alla cura della propria identità, la Casa d’Italia è stata, nel corso di un secolo, il presupposto per un’armonizzazione sociale e culturale tra l’Italia e la Svizzera, nonché con tutte le altre culture, patrimonio della Confederazione Elvetica.
La comunità ha bisogno di questa bella e storica struttura per proseguire l’impegno per le attività socio-culturali da offrire alla comunità italiana, ma non solo, presenti nella città e nei cantoni limitrofi.
Per tali nobili obiettivi, la collettività italiana dei Cantoni di Lucerna, Uri, Nidvaldo e Obvaldo, ha costituito una società cooperativa fondata sullo spirito storico del movimento cooperativo (Tutti per uno e uno per tutti), con lo scopo di acquisire e gestire lo stabile Casa d’Italia senza alcun intento speculativo, ma unicamente per preservare la memoria storica dell’emigrazione italiana in questa terra e perseguire la diffusione della lingua e della cultura italiane (atto fondante della costituzione elvetica), nel lungo processo di integrazione protagonista dei nostri cittadini.