Intervista con l’avvocato cantautore Paolo Conte
Il cantautore astigiano dalla voce graffiante, autore di indimenticabili brani dai ritmi sognati ed esotici, intrisi di sonorità che attingono da suggestivi swing, jazz, blues con sfumature latino americane, è impegnato nel suo tour “Paolo Conte & Big Band in concerto” che lo vedrà anche in Svizzera. Tre le tappe in terra elvetica: giovedì 20 maggio alla Kongresshaus di Zurigo, venerdì 21 maggio al Théatre de Beaulieu di Losanna e sabato 22 maggio allo Stadtcasino di Basilea. Ecco cosa ci ha raccontato durante la nostra intervista!
Ci parli di questo tour che la vedrà su diversi palchi tra cui molti della Svizzera: Locarno, Zurigo, Losanna e Basilea.
È una tournée che non tocca solo la Svizzera ma anche tanti altri Paesi. Lo spettacolo è in due tempi in cui farò canzoni vecchie riarrangiate e altre più nuove. Con me ci sarà un’orchestra di musicisti molto bravi, polistrumentisti, nel senso che sono capaci di passare facilmente da uno strumento all’altro.
Ci farà ascoltare i brani del suo ultimo lavoro “Psiche” o anche qualche vecchio brano?
Sì, ci saranno pezzi tratti da “Psiche” ma non solo questi. Io non amo mai mettere troppi pezzi dell’ultimo lavoro. Il pubblico ha sempre nostalgia di sentire i brani più vecchi, quelli che ama tanto, mentre ci vuole più tempo per far digerire i pezzi più nuovi. Io non faccio i concerti per presentare solamente l’ultimo lavoro.
Non è la prima volta che realizza dei concerti all’estero: come pensa che i suoi brani vengano recepiti da chi non può cogliere a pieno il senso delle parole che compongono il brano?
No assolutamente, ne ho fatti dappertutto. Questa è una vecchia storia, mi dispiace che in queste occasioni non si possa cogliere a pieno il senso della mia musica. Mi dispiace veramente perché vorrei che tutto il pubblico comprendesse il significato delle parole nei miei testi. Mi illudo che un po’ per la musica, un po’ per la sensibilità che si ha quando si conosce e si apprezza un’artista, che il pubblico arrivi ad intuire qualcosa anche senza sapere la lingua.
Il Jazz americano le appartiene fortemente. Quanto è significativo per lei il rapporto con questo genere di musica?
Io voglio essere preciso, per questo, parlando ai puristi, dichiaro apertamente che quello che faccio non è jazz però, per la mia formazione culturale, il jazz ha avuto indubbiamente molta importanza perché un po’ l’ho praticato e poi soprattutto sono sempre stato un gran collezionista di dischi quindi ne conosco bene la storia.
Quando Paolo Conte non compone musica ma l’ascolta, quali sono i generi a cui si rivolge la sua scelta?
Musica classica e musica jazz antica, intendo degli anni ‘20 e ‘30!
Parliamo del processo creativo della musica, delle sue canzoni. Come nascono i suoi brani?
Tecnicamente nasce sempre la musica per prima, come composizioni, poi gli arrangiamenti vengono in un secondo momento ed infine le parole. Nel 99% dei casi capita così. È una vecchia tecnica americana.
C’è qualcosa in particolare che risveglia il genio di Conte?
Se sapessi come si fa a far uscire il genio sfregherei la lampada. Sono cose che avvengono in modo misterioso e nel mistero se ne vanno. Certe volte sei in stato di grazia e non lo sai. Compongo sempre da solo, al pianoforte, possibilmente di notte, nel silenzio, perché di notte arrivano delle belle vibrazioni per cui aspetto che le muse passino a farmi visita!
Qual è il segreto per riuscire a trovare le parole giuste per la musica che compone?
È una lotta! È una lotta perché ci sono da considerare degli aspetti tecnici importanti. Prima di tutto la lingua italiana è poco musicale quindi quando mi viene un testo devo adattarlo alla musica, lavorando bene di gomma o di forbici per farli stare bene insieme. Poi c’è da dire che il significato di una musica che hai scritto è sempre di natura astratta mentre le parole sono sempre concrete perché vengono da un dizionario e vogliono dire quello che significano. È un po’ una lotta psicologica per far star insieme il concreto e l’astratto.
Cosa ne pensa dell’attuale panorama della musica italiana contemporanea?
Se fossi un buon critico dovrei essere più informato di quello che sono. In realtà, come dicevo prima, ascolto dei dischi che non c’entrano niente con quello che si fa oggi. Per quel poco che ascolto di musica contemporanea, mi sento di dire che c’è un momento di stallo, di passaggio, in cui si aspetta qualcosa che ancora nell’aria non c’è.
Qual è il brano che più di tutti gli altri rappresenta Paolo Conte?
Non lo so, se lo sapessi mi saprei muovere meglio. Però posso dire che una canzone importante che mi ha fatto conoscere al grande pubblico è “Genova per noi”.
Lei è un cantautore affermato che per la sua musica ha sempre ricevuto consensi dalla critica. Cosa si aspetta, in questo senso, dal futuro?
Non lo so, spero di continuare a vivere nel rispetto. Un po’ per l’età che avanza, un po’ per quello che ho fatto, spero di mantenerlo. Non mi aspetto di più. In questo momento sto sperimentando qualcosa di nuovo ma non pretendo che la critica se ne accorga, mi basta questo rispetto.
Un’altra grande passione sono le arti figurative: in che misura la vive?
La vivo bene, meglio che la musica, perché la musica mi lascia sempre molto eccitato mentre invece la pittura mi calma e mi rilassa. La vivo inoltre come hobby per cui sono padrone di me stesso, molto di più di quanto non lo sia invece con la musica!
Eveline Bentivegna