Il Consiglio federale ha incontrato partiti e partner sociali per discutere sull’accordo quadro istituzionale. Restano le differenze
Non si intravede una maggioranza per approvare l’accordo quadro istituzionale con l’UE. La scorsa settimana il Consiglio federale ha incontrato le parti interessate: i partiti politici e i sindacati e gli imprenditori allo stesso tavolo. Lo scenario non è cambiato molto. Restano le diverse posizioni dei partiti, tra un deciso NO e un SÌ ragionevole. L’accordo divide anche sindacati e imprenditori, niente di nuovo, ma almeno c’è comprensione reciproca per le posizioni. C’è stato anche dialogo con l’UE. A Strasburgo alcuni parlamentari svizzeri hanno discusso con deputati del Parlamento europeo. L’Ue resta rigida, considera i negoziati conclusi e vede poco spazio per trattare. Una posizione che la Svizzera prende sul serio. Difatti il Consiglio degli stati ha respinto una mozione dell’indipendente Thomas Minder, che voleva impedire al Governo elvetico di firmare l’accordo quadro istituzionale. Il senatore sciaffusiano ritiene che l’accordo sia un passo della Svizzera verso l’UE come membro, con conseguente perdita della sovranità. I problemi con Bruxelles sono di natura politica e non giuridica, ha affermato Minder. La Camera alta ha ritenuto sbagliate le richieste di Minder, argomentando che non ha alcun senso discutere l’accordo con le consultazioni ancora in corso. Inoltre, esso sarebbe essenziale per le piccole e medie imprese, perché garantirebbe l’accesso ai mercati europei. La mozione è stata chiaramente respinta con 35 voti contro 5, con l’UDC unico partito a sostenerla. La volontà delle parti di discutere l’accordo conferma la strada imboccata dal Consiglio federale, dibattiti che inizieranno dopo gli incontri. I primi a esporre i loro punti di vista al ministro degli esteri Ignazio Cassis e al ministro dell’economia Guy Parmelin sono stati i partiti. Non è cambiata la posizione dell’UDC, che ha ribadito la sua contrarietà ad un accordo quadro. “È una forma di sottomissione all’UE, la fine di una Svizzera indipendente e autodeterminata”. Non ha formulato ancora una definitiva posizione il PS, che è in linea di massima favorevole a un accordo con l’UE, solo alle condizioni che a rimetterci non sia la protezione dei salari. La stessa posizione è dei Verdi che nell’accordo vedono molti punti positivi. L’ala sindacale dei socialisti non vuole fare concessioni sulle misure di accompagnamento, mentre quella filoeuropea propone misure interne per proteggere i salari, ad esempio con più contratti collettivi. Il PLR non è ancora del tutto persuaso e i delegati hanno approvato un “SÌ ragionevole”, perché l’accordo consente la sicurezza del diritto e l’accesso al mercato europeo. Sulle stessa lunghezza d’onda dei liberali sono posizionati i Verdi liberali e il BPD. Anche il PPD sostiene l’accordo, ma non a qualsiasi prezzo. Il punto che i popolari vorrebbero eliminare riguarda le direttive per i cittadini dell’UE, che metterebbe nelle stesse condizioni della popolazione svizzera i cittadini dell’UE.
Nessuna novità anche nell’incontro con i partner sociali, ancora divisi e fermi sulle proprie posizioni, ma che hanno discusso in un clima sereno con toni concilianti nel rispetto delle posizioni. I rappresentanti delle imprese danno il via libera all’accordo, solo se il Consiglio federale “ottiene precisazioni a Bruxelles sulle misure di accompagnamento per la protezione dei salari” ha detto Valenti Vogt, presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori (USI). L’obiettivo è permettere misure aggiuntive di protezione dei salari in situazioni di emergenza. Una proposta sostenuta dai sindacati, che restano però rigidi sul NO all’accordo. “La protezione dei salari non si smantella” ha ribadito Vanja Alleva, presidente del sindacato UNIA, rifiutando negoziati sulle misure d’accompagnamento. Conferma anche la volontà di lanciare il referendum, se il Governo ratificherà l’accordo. Le consultazioni con partiti e partner sociali, variante scelta dal Consiglio federale per un’analisi dei fondati interessi delle parti, non ha portato a passi avanti. L’esecutivo non vuole però sperperare i risultati dei negoziati con l’UE, perché un NO all’accordo e la fine del processo di trattative avrebbero conseguenze negative nei rapporti con l’Europa. Ma superare la resistenza politica interna e la rigidità di Bruxelles resta un compito arduo per il Governo, senza dimenticare che l’accordo dovrà ottenere l’approvazione del popolo.
Gaetano Scopelliti