Il Bundesrat tedesco, contrariamente al Bundestag che l’aveva in precedenza approvato, il 23 scorso ha respinto l’accordo Rubik con la Svizzera sulla tassazione dei depositi dei capitali esportati illegalmente. Ora si tratta di sapere se la procedura di mediazione – ultima spiaggia per siglarlo – sbloccherà l’accordo o lo bloccherà in maniera definitiva, facendo rimanere la situazione come è ora. La Germania dispone di un elenco “rubato” che le permetterà di perseguire gli evasori, anche se non sarà tanto facile, ma i rapporti con la Svizzera subiranno frizioni. In ogni caso, senza un’imposta liberatoria preventiva – quella che sarebbe scattata con un prelievo del 25% sull’ammontare del capitale depositato – la lotta all’evasione in Germania sarebbe più difficile. E’ chiaro, comunque, che dell’accordo se ne riparlerà dopo le elezioni tedesche, quindi non potrà entrare in vigore col primo gennaio 2013, come, invece, accadrà con la Gran Bretagna e con l’Austria.
Dopo il no del Bundesrat, l’accordo con l’Italia sarà firmato entro il 21 dicembre, come auspica l’ambasciatore Oscar Knapp che si dichiara “fiducioso” oppure anche l’Italia avrà dei ripensamenti? Dipende dalla materia che si vuole inserire nell’accordo.
L’Italia è sicuramente interessata a siglare un accordo che farebbe rientrare in Italia, a partire dal 2014, alcune decine di miliardi. I capitali depositati illegalmente in Svizzera vengono calcolati attorno a 160 miliardi di euro. Se si considera che alla prima applicazione potrà essere applicata una imposta del 25% su tutto il capitale – percentuale stabilita per gli accordi con la Gran Bretagna e l’Austria – perché l’evasore mantenga l’anonimato che per il segreto bancario elvetico è sacro, allora si capisce che l’Italia raggiungerebbe due obiettivi fondamentali. Il primo, che incamererebbe subito 40 miliardi e anno per anno un’altra sugli interessi; il secondo, che l’evasore sarebbe tassato in maniera consistente o non in ragione di un misero 5% secondo gli scudi fiscali applicati negli anni scorsi, quindi si potrebbe parlare di giustizia tra chi ha sempre pagato in Italia e chi, pur avendo esportato capitali illegalmente, ha poi pagato. 40 miliardi, di questi tempi, sono una bella cifra: all’Italia conviene.
Anche la Svizzera è interessata all’accordo e non ne fa mistero, ma per altri motivi. Attualmente la Confederazione è considerata dall’Italia – e qualche anno fa per questo ci sono state delle fratture quando era ministro dell’Economia Giulio Tremonti – un paradiso fiscale, con l’iscrizione, per così dire, delle banche elvetiche nella lista nera. Ecco, la contropartita della Svizzera è di essere immediatamente tolta dalla black list. Fin qui, tutto bene. L’accordo è effettivamente alla portata di mano, anche perché l’embargo finora vigente alle banche elvetiche in Italia cadrebbe. Per di più, la Svizzera è essa stessa interessata ad un accordo in tempi rapidissimi, in quanto, secondo fonti ufficiose, di Monti si fida, ma non si sa cosa succederà dopo le elezioni politiche in Italia, quindi l’accordo o si fa subito o non sarà più tanto sicuro che si faccia.
Il problema, dunque, è che cosa chiederà la Svizzera in aggiunta a questi punti che l’Italia possa a sua volta accettare. Se la Svizzera vorrà limitare l’ingresso dei lavoratori frontalieri nel Canton Ticino – che ora hanno raggiunto il tetto del 25% creando problemi di dumping salariale – per un accordo rapido ci sarà sicuramente un ostacolo e ce ne sarà un altro ancora se la Svizzera vorrà rinegoziare il ristorno del 38% delle imposte dei frontalieri ai Comuni italiani di provenienza. E’ dunque possibile che l’accordo possa essere siglato entro Natale, ma non si può troppo tirare la corda. Senza contare che il no del Bundesrat può rimettere in questione la liceità che accordi del genere possano essere stipulati tra Stati e che dunque l’Europa non avochi a sé la titolarità in questa materia.
In ogni caso, questo è un buon motivo per accelerare la trattativa.