“Sono una piccola ape furibonda. Mi piace cambiare di colore. Mi piace cambiare di misura”.
Sono queste le parole che Alda Merini, la grande poetessa scomparsa a Milano, aveva scelto per la homepage del suo sito ufficiale, accanto ad una immagine molto intensa, in bianco e nero, con l’immancabile sigaretta in mano e l’altrettanto inseparabile collana di perle al collo.
Del resto, questo mettere insieme regole borghesi e trasgressione era l’anima della sua opera dolorosa, segnata dall’esperienza della follia e del disagio fisico ed economico, in un ventennale entrare e uscire da ospedali psichiatrici tra gli anni Sessanta e Settanta.
“Sono molto irrequieta quando mi legano allo spazio”, scriveva in un componimento intitolato Poesia, e la sua instabilità si traduceva in versi ad altissima intensità emotiva, spesso erotica, a partire dai primi componimenti, semplici, lineari, di pochi versi.
Era nata a Milano nel marzo del 1931 ed aveva iniziato a comporre le prime liriche giovanissima, ad appena 16 anni, e subito incontrò il favore dei suoi illustri lettori.
Il suo primo incontro con il mondo letterario avvenne quando Silvana Rovelli, cugina di Ada Negri, sottopose alcune delle sue poesie ad Angelo Romanò che, a sua volta, le fece leggere a Giacinto Spagnoletti, considerato lo scopritore della poetessa.
La prima raccolta di poesie di Alda Merini “La presenza di Orfeo”, pubblicata nel 1953, ebbe subito un grande successo di critica ed allora lei aveva già incontrato Giorgio Manganelli, al quale fu legata fino alla fine da una forte amicizia.
Sempre nel ‘53 sposava Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie a Milano, dal quale ebbe la prima figlia: al pediatra della bambina dedica Tu sei Pietro, del 1961. Nel 1965 viene internata al manicomio Paolo Pini dal quale uscirà solo nel ‘72 a parte brevi periodi a casa nel corso dei quali nasceranno altre tre figlie.
Una vita, e un’opera, nell’alternanza tra lucidità e follia che troveranno sintesi somma in quello che è considerato il suo capolavoro, “La Terra Santa” che le è valso, nel 1993, il Premio Librex-Guggenheim ‘Eugenio Montale’ per la Poesia.
“La verità è sempre quella”, scriveva, “la cattiveria degli uomini che ti abbassa/e ti costruisce un santuario di odio dietro la porta socchiusa”. Altre sue raccolte di versi sono “Testamento”, “Vuoto d’amore”, “Ballate non pagate”, “Fiore di poesia 1951-1997”, “Superba è la notte”, “L’anima innamorata”, “Corpo d’amore”, “Un incontro con Gesù”, “Magnificat” Un incontro con Maria”, “La carne degli Angeli”, “Più bella della poesia è stata la mia vita”, “Clinica dell’abbandono” e “Folle, folle, folle d’amore per te. Poesie per giovani innamorati”.
Nella sua carriera artistica, Alda Merini si è cimentata anche con la prosa in “L’altra verità. Diario di una diversa”, “Delirio amoroso”, “Il tormento delle figure”, “Le parole di Alda Merini”, “La pazza della porta accanto” (con il quale vinse il Premio Latina 1995 e fu finalista al Premio Rapallo 1996), “La vita facile”, “Lettere a un racconto. Prose lunghe e brevi” e “Il ladro Giuseppe. Racconti degli anni Sessanta” e con gli aforismi “Aforismi e magie”.
Nel 1996 era stata proposta per il Premio Nobel per la Letteratura dall’Academie Francaise, e la raccolta di adesioni continuava ancora oggi sul suo sito. Ha vinto il Premio Viareggio, nel 1997 le è stato assegnato il Premio Procida-Elsa Morante e nel 1999 il Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Settore Poesia.
Era stata protagonista, negli ultimi anni della sua vita di una serie di apparizioni teatrali e anche di un documentario presentato quest’anno alla mostra del Cinema di Venezia, “Alda Merini. Una donna sul palcoscenico”, di Cosimo Damiano Damato.
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