Aveva 90 anni, una vita con Franca Rame tra teatro e politica
Se n’è andato nel giorno in cui si assegna il premio Nobel per la letteratura, lui che, ultimo italiano, lo aveva ricevuto, un po’ a sorpresa forse e facendo pure storcere il naso a più di un accademico nostrano, nel 1997. Dario Fo, figura seminale del teatro del secondo Novecento, è morto a Milano a 90 anni, tre anni e mezzo dopo la moglie Franca Rame, con cui ha vissuto una vita sentimentale, culturale e politica di grande intensità.
Nato nel 1926 in provincia di Varese, studente dell’Accademia di Brera, nel 1954 Fo ha spo-stato Franca Rame, con cui hai fondato la loro compagnia teatrale, che si è esibita in luoghi eterodossi e ha fustigato, utilizzando lo strumento della satira e della farsa il cosiddetto “teatro borghese”. La grande stagione del loro lavoro ha preso il via con la fine degli anni Sessanta: è infatti messo in scena per la prima volta nel 1969 “Mistero buffo”, opera ispirata agli episodi biblici nella quale il solo Fo sulla scena ha recitato diversi monologhi, a tratti esilaranti, anche sulla vita di Gesù, “il Palestina”.
I lavori di Dario Fo, come era inevitabile che fosse, hanno suscitato spesso forti polemiche, ma nel corso degli anni Settanta, con la pubblicazione delle commedie e con spettacoli in te-levisione, insieme alla Rame, la fama del drammaturgo si è andata consolidando e la sua ini-mitabile postura teatrale ha raggiunto un pubblico molto più vasto.
Parallelo alla vicenda culturale di Fo, anche il suo attivismo politico, dal Soccorso Rosso Mi-litante negli anni di piombo alla vicinanza al Movimento 5 Stelle degli ultimi mesi. Nel solco della vera tradizione dei commedianti e dei giullari di strada, Dario Fo ha vissuto una vita da anticonformista in un Paese spesso benpensante e ha cercato, in ogni circostanza, di occupare e raccontare l’angolazione più scomoda delle vicende socio-politiche e culturali dell’Italia.
Askanews
foto: Ansa
Pubblichiamo il ricordo di Dario Fo di una nostra lettrice
Un caffè con il Nobel
Ce ne stavamo tutte infreddolite al bar Umberto di Porto d’Ischia, a goderci il sole di una primavera che stentava ad arrivare.
– Wallì, guarda che bel portamento ha quella signora – dissi ammirata alla mia amica, indicandole una signora che veniva verso di noi.
– Sembra Franca Rame – fece lei senza aver tempo di finire perché la signora si era avvicinata e:
– Scusate, vi dispiace se mi siedo accanto a voi? – domandò semplicemente. Era lei, e ordinò un tè.
– Anche lei in vacanza? – chiesi timidamente. Lei prese a conversare con una tale affabilità che sciolse subito il nostro disagio. Ci disse che veniva dalla Spagna; che questa volta le era venuto in mente di cambiare rotta ma che aveva sentito nostalgia di Ischia dove veniva per i bagni termali da troppi anni, almeno un ventennio, così aveva cambiato itinerario.
Poco dopo arrivò Dario Fo. Ordinò un caffè. Rimanemmo a chiacchierare un poco del più e del meno, di lavoro, del “suo” lavoro, di immigrazione, di politica… E per finire una foto ricordo.
Qualche giorno dopo, me ne stavo in disparte tra il fumo delle fumarole di Sant’Angelo quando vidi passeggiare sulla riva Dario Fo. Lui mi riconobbe, mi venne incontro.
– Ciao, carissima. Come va? – disse amichevolmente e fece il baciamano. Ed io? Ero talmente imbarazzata, con quel costume bagnato e tutta grondante di sudore, che riuscii appena a balbettare:
– Buon giorno signor Foà…
Rossa come un gambero, avrei voluto sprofondare tra le fumarole per quella madornale gaffe. Come avevo potuto scambiare il nome? Lui invece, da gran signore, non se ne curò. Mi sorrise amabilmente e si allontanò con la sua figura allampanata.
“Grazie signor Fo”. Per la cavalleria e la signorilità d’allora.
Con vivissima simpatia,
Gemma Capone